Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Starnuti e panico, il caso certificati
Resta da sciogliere il nodo della responsabilità sanitaria dopo un finto allarme. Spunta l’ipotesi autocertificazione
Un bimbo si ammala e scoppia il caos, a scuola, in famiglia e nell’ambulatorio del medico. Troppo complesse le procedure: la Regione pensa alle autocertificazioni.
Al primo pallore accompagnato da un colpo di tosse e magari da uno starnuto, i compagni di classe si girano e magari qualcuno osa persino una battuta. Ma l’insegnante inizia ad allarmarsi. Se poi il bambino (o il ragazzo) continua a dar segni che sta «covando» qualcosa, ecco che si apre il baratro e sullo schermo del cellulare della mamma o del papà compare quel numero che mai, in tempi di Covid, qualcuno vorrebbe vedere: quello della scuola. «Suo figlio sta male, deve passare a prenderlo e portarlo dal pediatria».
Nessun problema, si potrebbe pensare, con un eccesso di ingenuità. L’istituto superiore di sanità ha in effetti dettato le linee guida da seguire in queste situazioni e sono all’apparenza chiare (si descrivono i sintomi, le procedure e tutto ciò che serve al rientro in aula) ma poi nelle reali dinamiche quotidiane di scuola e sanità le cose si complicano. E, alla fine, le famiglie si trovano a vivere in una dimensione da Processo kafkiano, con le scuole che chiedono garanzie di salubrità e i dottori che sgranano gli occhi di fronte alla richiesta di certificati di rientro anti-covid. E tra medici e prof si sfiora la bagarre. «Se si leggono le linee guida si nota subito che sono inapplicabili, ad esempio mancano le postille con le eccezioni, sembra una sciocchezza ma se un alunno soffre di allergie o rinite che facciamo? E chiamiamo lo stesso la famiglia se uno ha il naso che cola? Qualsiasi maestra della primaria può riferire che il raffreddore è la norma in classe interroga Luigi Zennaro, vicesto presidente dell’associazione nazionale presidi del Veneto Serve giudizio ma noi non siamo medici, ci viene chiesto equilibrio, e siamo i primi a volerlo, ma sono proprio i medici e i pediatri a non assumersi le proprie responsabilità: facciano il loro mestiere».
Un j’accuse quello di Zennaro a cui i medici non porgono l’altra guancia, anzi scatta il rimpallo di accuse. «Dove sta scritto che un docente respinge un alunno per uno starnuto o un banale raffreddore? - tuona Domenico Crisarà, Federazione nazionale medici di famiglia del Veneto - È il pediatra o il medico a verificare lo stato di salute e la soluzione non è pretendere certificati per il rientro in classe. Ognuno,
genitori compresi, deve assumersi le proprie responsabilità». Purtroppo, a detta di Crisarà, negli istituti è passato il criterio di «massima tutela burocratica». E così le mamme e i papà, «per non entrare in conflitto con le scuole», bussano alle porte degli ambulatori chiedendo certificati di malattia per accudire i figli lasciati a casa o attestare l’assenza di contagio.
«Siamo in una fase di drammatizzazione della situazione - fa da paciere Maurizio Scassola, vicepresidente dell’ordine dei medici di Venezia - c’è disorientamento nelle scuole dove si cerca di limitare le responsabilità e tra i genitori che si trovano a vivere il timore del rischio di contagio. Tutto quenon si risolve con i certificati dei medici di base o dei pediatri: l’isolamento fiduciario non è malattia bensì prevenzione, a noi compete l’attivazione del percorso Covid da parte del Sisp (Servizio di igiene e sanità pubblica delle Usl,
ndr) cui spetta il rilascio dei documenti necessari alle famiglie». Se, a breve, non sarà messo ordine a questo caos «fra qualche mese sarà il caos ammette Scassola - con l’influenza invernale le richieste aumenteranno in chiave esponenziale: serve assolutamente una comunicazione corretta sul da farsi».
La Regione Veneto - «per quanto sia un problema al quale non è stata ancora data risposta», sottolinea Palazzo Balbi - in questo bailamme sta cercando una soluzione. «Ci stiamo confrontando con le organizzazioni professionali dei pediatri - dice l’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin e stiamo valutando la possibilità di creare un’autocertificazione standard firmata dal genitore in cui si dichiara di aver contattato il medico e di essersi attenuto alle sue indicazioni terapeutiche specificando che non si è reso necessario il tampone e grazie alla quale i ragazzi possano rientrare a scuola con modalità chiare, celeri e sicure». Intanto il viceministro della Sanità Pier Paolo Saleri (di professione medico) apre alla quarantena breve alla francese, di sette giorni, sostenuta dal presidente Luca Zaia: «Se tampone è negativo, dopo una settimana si può tornare ad uscire», dice.
Nell’attesa di una decisione (i presidi nicchiano di fronte alle autocertificazioni: «Sono affidabili?», chiede Zennaro) i medici si stanno attrezzando per inoculare il vaccino antiinfluenzale: «I nostri studi non bastano, stiamo organizzando in tutto il Veneto parrocchie, centri civici e palazzetti dello sport».
L’idea al vaglio
Palazzo Balbi pensa a un documento dei genitori ad attestare la guarigione del figlio