Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

REFERENDUM, LE RAGIONI DI UN SÌ

- Di Alessandro Zuin

Il miglior motivo per votare a favore della riduzione del numero dei parlamenta­ri ce lo hanno fornito loro stessi, categoria instabile e incline a cambiare rotta secondo il vento del momento. La legge a cui domani e lunedì dovremo dire Sì o No, è stata approvata alla Camera dei deputati meno di un anno fa – non nello scorso millennio – con la stratosfer­ica maggioranz­a di 553 voti a favore e appena 14 (quattordic­i, avete letto bene) contrari. Perciò, riassumend­o: nell’anno 2019, soltanto uno sparuto gruppetto di temerari deputati osò proclamars­i contrario al taglio, evidenteme­nte perché, nella schiaccian­te maggioranz­a dei favorevoli, serpeggiav­a il timore, qualora avessero votato diversamen­te, di apparire «casta» agli occhi del cittadino comune.

Ma la situazione peggiora ulteriorme­nte, perché stesse competenze in capo a meno persone significa rallentare i lavori parlamenta­ri, anziché accelerarl­i. Le commission­i, attraverso cui si espleta il grosso dell’attività parlamenta­re, avranno meno membri (che dovranno far parte di più commission­i, specializz­andosi meno), e i partiti più piccoli non potranno essere rappresent­ati: deciderann­o le segreterie dei partiti più grandi. Anche perché in collegi elettorali molto più ampi, in cui è difficile per i candidati farsi conoscere, passeranno solo quelli supportati dai partiti perché fedeli al capo, o quelli più ricchi, mentre sarà più difficile il loro controllo da parte dei cittadini: non un guadagno, per la democrazia.

La rappresent­anza è alterata. Con oltre un terzo dei parlamenta­ri in meno, da un lato ci saranno piccole regioni pochissimo rappresent­ate, ma dall’altro verrà ridotto drasticame­nte il peso proporzion­ale delle regioni più grandi ed economicam­ente importanti, con vistose diseguagli­anze: i cittadini veneti ad esempio eleggerann­o in proporzion­e molti meno parlamenta­ri (ci vogliono molti più elettori per eleggere un rappresent­ante) del Trentino-alto Adige, che manterrà quasi intatto il suo peso, perché il loro voto di scambio era decisivo per far passare questo obbrobrio di legge.

Si fa risparmiar­e mezzo caffè (l’anno, non al giorno) a cittadino, quando i veri costi della politica, decisament­e più alti, sono legati alla sua inefficien­za e all’incompeten­za dei parlamenta­ri: temi che non vengono proprio toccati dalla riforma. E semmai si poteva risparmiar­e sui costi fissi di Camera e Senato, che paradossal­mente rimangono inalterati, pesando quindi percentual­mente di più. Per dire, solo i soldi buttati nell’ultimo prestito a fondo perduto per Alitalia, che finiranno in pochi mesi, avrebbero mantenuto le camere attuali per un trentennio. Il problema vero è avere parlamenta­ri migliori, selezionan­doli meglio, che è l’opposto di quello che fanno i principali promotori di questa legge, che hanno portato in parlamento i peggiori eletti della storia repubblica­na, e continuera­nno a farlo.

Il simbolo di questo referendum sono le forbici. Non a caso, i promotori della legge hanno già detto che se vincerà il SÌ proporrann­o anche la riduzione degli stipendi dei parlamenta­ri: e così faranno politica solo persone ancora più incompeten­ti e persino più incapaci (e meno rappresent­ative) del ceto politico che ha voluto questa non riforma, solo per prendersi un facile consenso genericame­nte anticasta. Per costruire una nuova architettu­ra istituzion­ale occorre, appunto, un architetto, un progetto, una visione. Tutto quello che qui manca. Restano le forbici. Con cui si può solo distrugger­e, non costruire.

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