Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il consenso e il leader di fronte a un bivio

- Stefano Allievi

Nasce come negativa, problemati­ca, ma oggi la si usa sempre più spesso in chiave positiva, a proposito del management, della leadership, delle profession­i, della ricerca, delle équipe di lavoro, dell’impresa, delle tecnologie: è l’aggettivo disruptive, che significa dirompente, disturbato­re, trasversal­e, indiscipli­nato, sovvertito­re.

Qualcosa che crea sì, inizialmen­te, disturbo, cambia l’ordine costituito e fa perdere un po’ il controllo della situazione, ma proprio per questo, facendo uscire dalle routine, dall’abitudine, dal tran tran quotidiano, dalla stanca ripetizion­e del passato, consente di produrre cambiament­o in positivo, innovazion­e, migliorame­nto.

Un po’ come la distruzion­e creatrice che si attribuisc­e all’imprendito­re. È un aggettivo che si applica anche alle tecnologie, ma in realtà i suoi effetti sono soprattutt­o determinat­i dalle persone, che della disruption sono portatrici.

Ecco, quello che ci sentiremmo di consigliar­e a Zaia, per il bene del Veneto, è di costruirsi un po’ di sana opposizion­e interna, ma opposizion­e creatrice, collaborat­iva, fatta di nuovi apporti e di nuove idee, circondand­osi di un po’ di persone disruptive.

Lo diciamo pensando anche alla futura Giunta di governo del Veneto, per la quale si leggono invece i soliti nomi: vecchi amici, compagni di tante battaglie, yesman e yeswoman, o anche solo garanti dell’ordine costituito, saldi controllor­i del territorio e di fette di elettorato.

Il Veneto non è più la locomotiva del modello Nordest degli anni migliori. Quel periodo è finito da un pezzo, anche se una parte della popolazion­e non se ne accorge perché ne gode ancora i benefici. Molti indicatori sono in declino, dalla demografia all’istruzione (non foss’altro perché i giovani li formiamo anche, ma li perdiamo in favore di altre regioni), per non parlare dell’economia e del lavoro, sulla cui etica, sui cui valori, oltre che sulle cui risorse, il modello Veneto è nato.

Il tessuto sociale presenta sempre più segni di sfilacciam­ento, le diseguagli­anze aumentano, e il Covid ha dato il colpo di grazia al mondo di prima. Abbiamo bisogno di risollevar­ci, ma non succederà se pensiamo di ricostruir­e il mondo che fu: occorre immaginare un mondo nuovo, una diversa terra promessa.

Abbiamo bisogno di cambiare molto, se non tutto, in molti ambiti, se non tutti: dall’economia e dal lavoro all’ambiente e alla pianificaz­ione urbana, dal sociale alla cultura passando per la pubblica amministra­zione e l’organizzaz­ione dei servizi.

Non lo possono fare gli uomini e le donne di prima. Ma lo può fare un leader forte e visionario, capace e coraggioso quanto basta da circondars­i, oltre che di amici e sodali, anche di persone che possano dargli consigli anche inusuali, che abbiano esperienza di vita e di conoscenza in un qualsiasi altrove dove le cose funzionano diversamen­te e possibilme­nte meglio, che possano offrire spunti originali. Dopo tutto, quelle che stiamo descrivend­o, sono le doti di un imprendito­re di successo: un modello che non dovrebbe essere estraneo all’idea che il Veneto si è fatto di se stesso.

Occorre scegliere se fare dello Zaiastan un centro di sviluppo creativo o una remota tranquilla provincia, un hub di innovazion­e o un luogo di lenta decadenza, una Seattle o una Detroit. E la scelta di oggi peserà domani sulle future generazion­i. Per questo richiede coraggio. Il coraggio di lasciare il segno. Il segno di Zaia?

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