Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

LA RABBIA DEI NOSTRI FIGLI

- di Eugenio Tassini

Inostri figli continuano a picchiare (anziani, immigrati, barboni, altri ragazzi) o a essere picchiati (da loro coetanei). Accade in tutta Italia. A Mestre, a Padova, a Venezia, a Chioggia, a Bologna, a Firenze, a Colleferro, ovunque nelle notti della movida. Pestaggi per una sigaretta non data, uno sguardo, una frase, un silenzio. Perché consideran­o proprietà del loro gruppo una panchina, un tavolino, una piazza, una strada, un marciapied­e, e se ci trovano qualcun altro la consideran­o una invasione, una sfida, una mancanza di rispetto. Picchiano per un apprezzame­nto a una ragazza, ma anche perché due ragazzi si baciano. Per un no di un ristorator­e a vendere loro una bottiglia di whisky perché sono minorenni o perché il locale sta chiudendo non importa.

Noi, padri e madri, assistiamo a questa deriva di rabbia e arroganza con sgomento e senza capire cosa stia accadendo. E in effetti non è facile capire. Perché i protagonis­ti sono indifferen­temente giovani sbandati e giovani bravi a scuola, giovani palestrati, giovani che già lavorano e giovani che al contrario un lavoro non ce l’hanno, giovani di periferie degradate e di centri storici confortevo­li e così via. Pare di capire che la loro sia una cultura primitiva, formata intorno all’idea del branco (che tutto può, tutto prende) e della vendetta. Di sicuro la cultura prevalente nella quale sono cresciuti i nostri figli non è la nostra. Noi eravamo avevamo più comunità fra le quali scegliere (politica, religiosa, generazion­ale), loro sono tutti figli unici.

Noi abbiamo vissuto l’utopia della cultura a noi contempora­nea (la musica, dai Beatles in poi; l’arte da Andy Warhol in poi; la letteratur­a dal Giovane Holden in poi). Noi vivevamo di speranze (del lavoro, che c’era; di un mondo migliore, dai figli dei fiori almeno fino alla strage delle Torri Gemelle). Noi abbiamo inventato la nuova tecnologia (Steve Jobs, Bill Gates e gli altri sono i nostri fratelli maggiori, loro si sono trovati a doverla usarla da bambini senza avere l’alfabeto). Non è questo un elenco di alibi, sono differenze profonde. Noi siamo vissuti nella pace, loro nella guerra. Noi nel tempo delle certezze, loro delle incertezze. Noi avevamo John Lennon che cantava Imagine che sognava una Terra buona, loro hanno una sfilza di rap e di trap che parlano solo di soldi da fare a ogni costo, donne oggetto, sfide fra bande e di droga. Rap e trap sono peraltro nati nelle periferie estreme americane, e sono la musica delle gang nere, il primo di quelle di New York, il secondo nel Sud degli Usa. Trapping in gergo vuol dire spacciare, e le gang hanno almeno un «buon motivo» (lo spaccio appunto) per sostenere che quella parte di territorio è loro. Da noi rap e trap sono gli unici genere musicali che vendono, e dire che quel che sta accadendo nelle nostre strade assomiglia a quel che accade negli Stati Uniti è poco. Perché lì è una vera disgrazia e qui pare una rappresent­azione fatta male. Però, a forza di raccontare la vita come fosse un videogioco violento alla fine lo è diventata.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy