Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

DOMANDE AI DEM VENETI

- Di Gigi Copiello

Nel giorno in cui Zingaretti annunciava che il Pd è primo partito in Italia, sprofondav­a il Pd nel Veneto. Si noti: la prima notizia non era neppure attesa, la seconda del tutto scontata. Scontata non tanto per gli avversari, quanto per gli stessi elettori, militanti e dirigenti del Pd veneto.

Per tutti costoro, il risultato del 2015 (il tonfo con la Moretti) era al di là di ogni speranza. Ed ormai tira aria di countdown, di conto alla rovescia.

È sicurament­e problema di uomini, di gruppo dirigente. Ma siccome ormai è storia di declino, anzi rovina, non è cosa che si può scaricare sull’ultimo arrivato. È una politica, non solo un gruppo dirigente, che vanno cambiati. E le piste del cambiament­o sono dentro le domande a cui il Pd veneto non ha mai dato risposta.

La prima domanda riguarda il Veneto. Addirittur­a. Cos’è il Veneto per il Pd veneto? Illo tempore, furono realizzati due convegni, uno sul modello Veneto e l’altro sui militanti del Pd veneto. Correvano gli anni 2008-9, segretario il senatore Giaretta. Da allora, nulla. Mai e più nulla. E non a caso. Non c’è infatti alcun modello veneto per i dirigenti del Pd sparsi nel Veneto. Qualche riferiment­o: non c’è mai stato nemmeno un confronto tra Pd di Padova e Vicenza sulle municipali­zzate, che infatti presero strade opposte (verso la «grande» Hera a Padova, a difesa del piccolo a Vicenza).

Nessuno ha mai posto a Zaia i nodi cruciali (il polo veneto nelle fiere, banche etc., la riorganizz­azione dei territori quando si discuteva di Provincie e città metropolit­ana). Ciascun Pd di ciascuna parte del Veneto giocava in proprio e per sé. Il Veneto: solo un recinto, dove giocare ciascuno la propria partita. A presidio dei territori e dei municipi. Come tutti, peraltro. Ma gli altri avevano il governator­e. Il Pd, no. E poi: deputati e sottosegre­tari son tutti «nominati» da Roma e neppure il recinto c’è più. Ma c’è una seconda domanda che tocca le più profonde radici identitari­e del Pd (le radici cattoliche e socialiste). Una domanda che il Veneto ha posto, persino alla riflession­e nazionale: qual è la trasparenz­a del mercato accettata in Veneto? Nessuno ha mai sollevato il tema della congruità del modello cooperativ­o per imprese che gestivano miliardi. Neppure nell’ultima vicenda di Cattolica Assicurazi­oni. Solo interventi esterni al Veneto han posto il problema. E all’esterno del Veneto se ne sono andati ormai centomila giovani, per tante ragioni, ma una sempre presente: qui non vale né merito né mercato. Ma altro e tutt’altro. Quale diversità ha proposto il Pd Veneto di fronte a queste opacità del mercato veneto? Per entrambe le domande, la risposta del Pd nel Veneto non è stata poi diversa da quella data da tutti. È stata una risposta in copia. Ma, come si sa, val più l’originale. E così si arriva al conto alla rovescia, al countdown. Per concludere, dopo la cronaca, scomodiamo la storia. Correva il secolo scorso, c’era un partito alle dimensioni del Pd veneto d’oggi. Da Roma fu deciso il cambio del gruppo dirigente. Ma soprattutt­o della «linea politica», come si diceva allora. Che cambiò, infatti. E per lungo tempo, cambiasser­o pure i governator­i, le città lungo l’a4 furono sempre governate dal centro-sinistra, antenato dell’ulivo, padre del Pd. Fu il periodo inaugurato da Rino Serri, inviato dal Pci. Veniva da Reggio Emilia.

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