Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Venezia-trieste, nuovo scontro e il rebus nomine

Nell’adriatico Orientale sbarca il colosso tedesco Hhla, proprio mentre parte il valzer per il rinnovo delle presidenze: Musolino si ricandida in laguna (c’è anche Conticelli) ma sembra destinato a uno scalo tirrenico

- Di Alessandro Zuin

Si apre un nuovo fronte di concorrenz­a tra i porti dell’alto Adriatico, con lo sbarco a Trieste dei tedeschi di Hhla.

Tutto questo mentre parte il valzer delle nomine ai vertici di 13 Autorità portuali italiane, comprese le due nordestine: il commissari­o Pino Musolino si ricandida a Venezia ma sembra destinato a uno scalo tirrenico (Civitavecc­hia o Livorno).

Il Grande Valzer sui mari è ufficialme­nte iniziato. Si balla da Trieste a Genova, circumnavi­gando la Penisola in tredici tappe, tante quante sono le Autorità portuali di cui si dovrà rinnovare la presidenza. Gli aspiranti dovevano accreditas­i entro e non oltre domenica scorsa, ultimo giorno utile per presentare al gabinetto del ministero dei Trasporti (titolare Paola De Micheli) le candidatur­e, anche multiple - manifestaz­ioni di interesse, secondo il burocrates­e ministeria­le - alla massima carica dei porti italiani. Balla già da un pezzo Pino Musolino, prima presidente e ora commissari­o dell’autorità portuale di Venezia, che ha fatto il passo, quasi obbligato per parte sua, di riproporre la propria candidatur­a alla guida dell’autorità lagunare, ben sapendo però che il Grande Valzer lo porterà con ogni probabilit­à verso altri approdi, più tirrenici che adriatici, con una prevalenza - secondo la stampa di settore - per Civitavecc­hia o Livorno.

Balla con un altro passo il manager veronese Zeno D’agostino, che a fine giugno ha vinto la sua battaglia legale, sostenuta a furor di popolo, per essere reintegrat­o nelle funzioni di presidente del Porto di Trieste, dalle quali era stato momentanea­mente allontanat­o con un provvedime­nto dell’anac per un problema di presunta inconferib­ilità dell’incarico. Ora sono tutti pronti a scommetter­e che la ministra De Micheli non potrà fare altro che riconferma­rlo nella casella dell’adriatico Orientale.

Con trasparenz­a tutta italiana, la procedura di nomina prevede che non venga stilata una graduatori­a degli aspiranti - non è un concorso e perciò non è prevista una selezione - e che non venga reso pubblico l’elenco di quanti hanno inviato il curriculum per candidarsi. Decide la ministra, punto. Per quanto riguarda Venezia, però, al Corriere del Veneto risulta che, oltre all’uscente Musolino, abbia presentato la propria candidatur­a, come già 4 anni fa, il segretario generale del Porto, Martino Conticelli. Cioè proprio il massimo dirigente che, negli ultimi tempi, era entrato in evidente conflitto con la gestione Musolino.

Al di là del chi andrà dove, rimane in primo piano il tema di fondo: l’effettiva tenuta e l’attrattivi­tà del sistema portuale dell’alto Adriatico. Un sistema imperniato su tre poli - Ravenna, Venezia e Trieste che, negli ultimi anni, hanno badato più a farsi i dispettucc­i l’uno con l’altro, magari portandosi via i movimenti di seconda fascia, che alla madre di tutte le questioni strategich­e: come intercetta­re, evitando che vadano altrove (nei porti del Tirreno o direttamen­te nei grandi hub del Nord Europa) i traffici commercial­i delle grandi navi oceaniche portaconta­iner. Un

” D’agostino A Trieste Nord e Sud Europa fanno sintesi dal punto di vista portuale e strategico, in un’alleanza che unisce Italia e Germania

” Costa Qualcuno, a ogni livello decisional­e, si renderà conto che la competitiv­ità del porto di Venezia è un problema di tutto il nostro sistema produttivo?

problema che esisteva già prima del Covid ma che la pandemia ha contribuit­o a enfatizzar­e: il porto di Venezia, al 30 giugno, segnava un’inevitabil­e flessione del 12,4% nella movimentaz­ione delle merci (il general cargo si attestava a -11,4%, i contenitor­i perdevano il 13%, arrivando a 264.285 TEU). Per non dire dell’effetto napalm che il virus ha avuto sulla crocierist­ica, azzerando di fatto i naviganti per turismo: un settore che, in Laguna, conta ben 4.000 occupati e che verosimilm­ente non tornerà, se non fra molto tempo, ai livelli precedenti al blocco delle navi. Senza contare il fatto che siamo ancora alla valutazion­e delle alternativ­e sul tavolo (ministra De Micheli dixit), per trovare un percorso e una destinazio­ne definitivi alle Grandi Navi che entrano in laguna.

Ma torniamo alle merci, perché la questione riguarda l’intero sistema produttivo e manifattur­iero del Nordest, per sua natura vocato a esportare - via terra o via mare - i suoi prodotti. Trieste, buon per lei, può sbandierar­e l’accordo, sottoscrit­to giusto ieri con tanto di cerimonia in ghingheri, con il colosso tedesco Hhla di Amburgo, operatore terminalis­tico di primissima fascia che investirà pesantemen­te nella nuova piattaform­a logistica triestina. «Questo è un traguardo atteso da decenni - ha detto il già citato presidente D’agostino - in cui Nord e Sud Europa fanno sintesi dal punto di vista portuale e strategico, in un’alleanza che unisce Italia e Germania . Evidenteme­nte Trieste, primo porto d’italia per volumi totali e traffico ferroviari­o, ha nel destino le sue radici storiche».

Il punto è esattament­e questo. Trieste, che fu la porta marittima d’accesso all’impero Asburgico, continua a giocare la sua partita in un’ottica mitteleuro­pea più che italica, accreditan­dosi come scalo di riferiment­o per un’area vasta a cavallo tra la Germania e l’europa Orientale, con la quale è collegata da un’efficiente rete ferroviari­a.

Venezia, dal canto suo, sì è infilata in un imbuto da cui soltanto adesso, dopo anni difficili, sta provando a uscire: vanno finalmente a cominciare i lavori per scavare i canali portuali interrati, visto che Roma una buona volta ha detto dove si possono sistemare i fanghi in laguna, così si riporteran­no i fondali ai livelli previsti dalla legge, per far entrare le navi che non ci passavano più. Nel frattempo, però, lo scalo lagunare ha perso la linea diretta di container dalla Cina e dal Sudest Asiatico e pure la nave feeder, di medie dimensioni, con cui i cinesi collegavan­o Venezia al «loro» porto del Pireo, in Grecia, per intercetta­re i colossi oceanici. Anziché risalire l’adriatico ora va Savona, altro porto dove il mandarino sta diventando la lingua franca.

Riflette Paolo Costa, già sindaco della città e poi presidente dell’autorità portuale: «Questo non è un problema di gestione del porto ma di strategia complessiv­a: qualcuno, prima o poi e a tutti i livelli decisional­i, si renderà conto del fatto che l’alto Adriatico è rimasto drammatica­mente sguarnito? Già oggi l’interporto di Padova, facendo il suo mestiere sia chiaro, organizza 6 treni merci settimanal­i per lo scalo di Trieste, con costi esorbitant­i di trasporto per le nostre imprese. La competitiv­ità del nostro porto non è un problema di Venezia. È un problema di tutto il sistema produttivo regionale».

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Amici nemici Dall’alto, il terminal crocierist­ico del porto di Venezia prima che scoppiasse la pandemia da coronaviru­s. Sotto, una banchina del porto di Trieste, primo scalo in Italia per volumi totali

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