Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Da argine sanitario alla paura a indumento intimo «La mascherina? La lavo quando comincia a odorare»
La nuova «convivenza» tra obblighi e raccomandazioni
Il bianco ingrassa, le strisce allargano, il nero slancia. «E poi è più comodo e sporca meno». L’attuale collezione autunno-inverno preferisce la mascherina di colore scuro e il virus non fa obiezioni, nera, bianca o a pois tanto ti ammazza lo stesso. Va detto anche che la signora è tutt’altro che frivola, è una donna di casa e, come tutte le donne di casa, pratica, quindi «meglio nera». Al tavolo del bar, davanti ad un cappuccino se l’abbassa e risponde, lo fa alla maniera dei cavalieri medievali con la celata, un segno di riconoscimento cortese che la tradizione militare ha trasmesso al cappello e che ora fanno anche le donne con la mascherina.
La signora spiega che lei la lava una volta ogni due giorni. «Quando me lo ricordo però. In realtà vado a naso, allorché comincia a puzzare la butto in lavatrice. Ci sarebbe anche un metodo per igienizzarla, ma è macchinoso e richiede tempo: la sera andrebbe stesa su una bacinella di liquido disinfettante, fumigata e poi lasciata asciugare al sole».
Lasciata al sole, a naso, alla capacità delle nostre tasche (son pur sempre 0,50 euro al pezzo), in balia delle nostre abitudini igieniche, gli schizzinosi più spesso, altri meno. Ecco, l’indumento intimo oggi più in voga, il più usato (e riusato), di tutti gli orifizi corporei quello destinato a coprire la parte che ci è più cara, è anche quello al quale prestiamo meno attenzione. Non è uno yogurt, non è una mutanda, non ha scadenza scritta né bugiardino da leggere, il presidio medico consigliato dai medici è vago e interpretabile come l’oracolo di Delfi.
L’invito del rieletto governatore Luca Zaia ad indossarlo sempre, anche all’aperto (in altre regioni e città è riscattato l’obbligo) , arriva delicato e liberale, adattabile alle nostre personali sensibilità, in strada la mascherina è consigliata ma non prescritta, raccomandata ma non obbligata. L’intimo resta personale e, fintanto che dura, siamo liberi di aprire il cassetto e metterci quello che vogliamo, come di cambiarlo. C’è della castità nelle mascherine e c’è dell’esibizionismo, c’è anche del fetish, copre la paura e l’attizza, difende dal contagio e ne diffonde la notizia. Ecco perché va iscritta a pieno titolo nella categoria dell’abbigliamento intimo, sottospecie del “lo mostro”. Liberi di levarcela, tenuti a mostrarla secondo i luoghi e le situazioni, di cambiarla quando puzza o di odorarcela, di farne a meno nelle riunioni di famiglia come di imporla e cacciare dal tram chi non ce l’ha. Ci ha reso dimentichi e responsabili. A seconda, perché la mascherina non è una solo una legge, è una convenzione sociale.
Per dire che ci sono luoghi e luoghi, posti in cui le strade del consentito e dell’obbligatorio non si incontrano per disegnare una mappa comportamentale che solo noi conosciamo e dove il legislatore non arriva. E la regola dell’intimo, figurarsi chi può dirci quando cambiarci di mascherina.
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