Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
In un libro la storia di mamma e figlia medici contro il Covid
Una mamma e una figlia in prima linea nella battaglia contro il Covid-19. Due donne, due professioniste, la professoressa Marilisa Andretta di Padova responsabile di Otorinolaringoiatria e la dottoressa Giovanna Rizzardi, sua figlia, chirurga toracica all’ospedale di Bergamo, impegnata nelle terapie intensive in questi lunghi mesi di pandemia da coronavirus. Con loro altri 37 medici, che hanno deciso di raccontare le loro storie nel libro «Emozioni virali. le voci dei medici dalla pandemia», a cura di Luisa Sodano, postfazione di Andrea Vitali (Il pensiero scientifico editore).
E il ricavato dalle vendite del libro va ai famigliari dei medici morti a causa del Covid-19. Marilisa Andretta con Giovanna Rizzardi presenta il libro sabato a Padova alla Casa di Cristallo di via Altinate, ore 17.30. Con un intervento introduttivo della scrittrice Antonia Arslan. È un libro di grande verità «Emozioni virali», duro, commovente, non risparmia nulla di quanto hanno visto e sentito i medici in prima linea. L’idea è nata durante il lockdown, in un gruppo chiuso su Facebook i medici si scambiavano opinioni, da lì il gruppo è arrivato a centomila medici iscritti e sono emerse tante storie emozionanti. Di fatica, disperazione, forza e coraggio, diventate racconti condivisi in questo libro. «Essere madre è l’esperienza più importante: è vita che si dona e si condivide - scrive Marilisa Andretta - . Esperienza di bene. Fare il medico è stato sempre molto simile a questo per me e non so pensare alla mia vita se non in termini di condivisione. Per questo non ho ricordi di un tempo solo mio, che forse nemmeno ho mai desiderato. Guardie, sala operatoria, reperibilità, didattica, tesi di laurea, attività scientifica, responsabilità come primario. Sempre senza orari, studiando e leggendo di notte. Sempre a sperare di essere liberi a Pasqua e a Natale. Sempre a far coincidere le ferie e i bisogni della bambina. Più di qualche volta, non sapendo a chi lasciarla, l’avevo trascinata di notte al Pronto Soccorso o fuori della sala operatoria:ad aspettare che la mamma finisse di aggiustare chi si era rotto, chi non respirava. Nei giorni più bui dell’emergenza ho scritto un messaggio a mia figlia lontana, in ospedale a Bergamo. La risposta mi è arrivata subito: una foto con due occhioni da cerbiatto dietro alla visiera, occhi sorridenti dentro allo scafandro. E una scritta: Mamma, non aver paura. Adesso ci sono io».