Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Pregliasco: «I vaccini deve comprarli l’europa E tra gli studenti tamponi e monitoraggio serrato»
L’igienista: inutile la guerra per l’anti-covid, garantisce la Ue
Tamponi continui per diagnosi tempestive, monitoraggio serrato per contenere eventuali focolai, vaccini ai docenti che in Italia hanno un’età media elevata, quindi sono più a rischio. E’ la «ricetta» del professor Fabrizio Pregliasco, ricercatore in Igiene generale all’università di Milano direttore sanitario dell’irccs Istituto Ortopedico Galeazzi, per limitare la diffusione del Covid-19.
Professore, si abbassa l’età media dei contagi e le scuole sono osservate speciali. Bisogna richiuderle?
«È ovvio che la chiusura è più efficiente, ma non possiamo dimenticare che ha effetti sul rendimento scolastico e sul contesto relazionale, ormai lo sappiamo bene. Si tratta allora di capire come migliorare il sistema e verificare se l’azione combinata di monitoraggio e sorveglianza massiva con tamponi periodici possa essere un elemento che mantiene l’operatività delle scuole per quanto possibile. Considerata anche la vaccinazione degli insegnanti in fase di avvio».
Quindi è meglio riflettere seriamente prima di procedere con le chiusure? Sulla mobilità fra regioni e sulla riapertura degli impianti sciistici invece la valutazione è diversa?
«È diversa, non c’è dubbio. In questo momento in tema di mobilità e ulteriori restrizioni serve continuità delle azioni di contrasto».
Servono accortezze maggiori vista la diffusione delle nuove varianti, specialmente quella inglese? I sindacati chiedono più Dispositivi di protezione individuale, per esempio le mascherine Ffp2: possono aiutare?
«Dati di maggiore protezione ce ne sono, ma ripeto: l’importante è mantenere la sorveglianza attiva e agire in modo mirato».
Ma come mai bambini e ragazzi sono più colpiti dalle varianti? C’è una reazione diversa rispetto alla prima tipizzazione di Covid oppure semplicemente a marzo e in autunno la frequenza in classe era ridotta?
«Entrambe le cose. C’è sicuramente una sottostima ma al tempo stesso c’è una maggiore propensione del virus a colpire i più giovani».
Ma è una caratteristica di tutte le varianti o solo di quella inglese, più diffusa in Italia rispetto ai ceppi partiti in
Brasile e Sudafrica?
«Tutte e tre le mutazioni del coronavirus reagiscono con queste modalità».
Intanto però la campagna vaccinale rispetto ad altri Paesi, come Israele, Gran Bretagna o Stati Uniti, prosegue a rilento.
«È normale: siamo nella stessa situazione in cui eravamo a marzo rispetto alla carenza dei dispositivi di protezione individuale. Quella problematica si è risolta e ora ci troviamo a gestire un aumento inevitabile di richieste e di produzione di vaccini che però non ci sono nelle quote promesse e necessarie. Ci si guarda in cagnesco fra regioni e province ma è esagerato, presto vedremo risultati nel medio periodo con l’arrivo di nuovi vaccini».
Fra somministrazioni e pazienti guariti l’immunità di gregge a che punto è? E quando si potrà arrivare al risultato desiderato?
«La strada è ancora lunga. Alcuni modelli matematici dicono che con un’immunità di gregge pari al 20%-25% per i soggetti più fragili il rischio ricovero cala del 30% e la mortalità del 70%».
A proposito di persone fragili, come i pazienti oncologici: per loro la campagna vaccinale doveva partire prima?
«Ora ci siamo, l’importante è agire».
E sulla cordata partita dalla Regione Veneto per acquistare vaccini sul libero mercato? Tentativo giusto o si deve restare nei binari europei, come rimarca il ministero della Salute?
«Un compratore grosso come l’unione Europea può garantire a tutti i Paesi membri tempi e dosi certi. Al di là delle impasse, questi sono dunque i canali corretti da percorrere. I vaccini sono la parte determinante di questa guerra, certo c’è una diatriba geopolitica sottesa, ma si deve andare avanti così».