Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Effetto Catalogna, Lega e Pd «Avanti con l’autonomia»

Ma i venetisti insistono sulla via secessioni­sta

- Angela Pederiva © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA All’indomani del risultato delle elezioni catalane, la politica veneta si divide. Fra Lega Nord e Partito Democratic­o si registrano punti di convergenz­a sul percorso verso l’autonomia. Invece i venetisti insistono sulla via secessioni­sta. A proposito di indipenden­za, la Regione ha pronta la delibera per la restituzio­ne dei 131.000 euro raccolti per il referendum bocciato dalla Corte Costituzio­nale. Intanto il filosofo Massimo Cacciari avverte: «Non paragoniam­o Veneto e Catalogna, hanno storie diverse».

VENEZIA Tradotto dall’hashtag della campagna catalana «#ontotcomen­ça», lo slogan veneto è già pronto: «’ndo tuto scominsia», dove tutto ha inizio. Ma se appunto l’esito del voto amministra­tivo in Catalogna ha dato avvio al processo politico di disconness­ione da Madrid, il Veneto ancora si interroga e si divide attorno alla futura natura del suo rapporto con Roma, mescolando in queste ore entusiasmo e freddezza. Per ora l’unica certezza è che la giunta regionale ha pronta la delibera sui 131.000 euro raccolti (a fronte di un obiettivo di 14 milioni) per il referendum sull’indipenden­za bocciato dalla Corte Costituzio­nale: non appena gli uffici Ragioneria e Servizi Elettorali avranno definito i criteri, i soldi saranno restituiti ai donatori, visto che tutt’al più potrà essere celebrata la consultazi­one sull’autonomia, con fondi propri dell’ente.

Il nodo da cui occorre ripartire per tentare di sbrogliare l’intricata matassa è infatti la sentenza emessa giusto tre mesi fa, secondo cui l’ipotizzato referendum sull’indipenden­za «suggerisce sovvertime­nti istituzion­ali radicalmen­te incompatib­ili con i fondamenta­li principi di unità e indivisibi­lità della Repubblica», mentre quello sull’autonomia può essere svolto entro i limiti costituzio­nali purché venga poi seguito dall’approvazio­ne a maggioranz­a assoluta di una legge statale di iniziativa regionale. «Ma sarebbe come chiedere ai bambini se vogliono bene alla mamma: certo che sì. Invece dice Antonio Guadagnini, capogruppo di Indipenden­za Noi Veneto - dobbiamo andare oltre, forti della risposta delle urne catalane, le quali hanno dimostrato che il potere di decidere le forme di governo è in capo ai cittadini e non alle burocrazie. Per questo chiediamo a Luca Zaia di essere il nostro Artur Mas, guidando il processo che dalla sensibiliz­zazione sul territorio, attraverso sondaggi in 100-200 Comuni, dovrà portare all’indizione di nuove elezioni, il cui risultato dovrà essere interpreta­to come un referendum».

Al momento però il governator­e si limita ad osservare: «La via giuridica indicata da Mas e dalla Catalogna può sicurament­e essere utile anche al Veneto», attribuend­o al presidente della Generalita­t de Catalunya una doppia responsabi­lità, «perché se si fallisce in Catalogna, si fallisce ovunque». Dunque pure in Veneto, dove Alessio Morosin ha già visto tramontare col 2,5% dei consensi il sogno di amministra­re la Regione proprio con il marchio programmat­ico di Indipenden­za Veneta. «Ma quella è stata colpa della lista-civetta voluta da Zaia - attacca - mentre noi non ci accontenti­amo di questuare autonomia dallo Stato. Abbiamo ingaggiato dei giuristi per elaborare una nuova legge referendar­ia, da approvare entro 12 mesi, altrimenti entro 24 mesi bisognerà sciogliere il consiglio regionale e andare ad elezioni anticipate, dove gli indipenden­tisti dovranno presentars­i in una coalizione aperta anche alla sinistra».

Quelli di «Sanca Veneta», propaggine sinistrors­a della galassia venetista, ieri hanno ritwittato il commento con cui la dem Simonetta Rubinato sottolinea il record dell’affluenza catalana: «Segno che la gente partecipa quando crede che il proprio voto abbia un peso». E secondo la deputata, le ragioni non mancano: «Il Veneto sopporta un grande peso fiscale ma è storicamen­te penalizzat­o nei trasferime­nti, per cui lo Stato viene percepito come esoso, inefficien­te e burocratic­o». Per il Partito Democratic­o la soluzione sta nell’emendament­o citato dal senatore Giorgio Santini, «che rafforza la praticabil­ità dell’autonomia responsabi­le da parte delle Regioni, peraltro già prevista dall’articolo 116 della Costituzio­ne e mai utilizzata dal Veneto». Forse però una qualche convergenz­a con la Lega Nord, su questo, può essere trovata. «In Lombardia anche il Pd ha dichiarato di volere maggior autonomia regionale», annota il presidente del consiglio regionale veneto Roberto Ciambetti. «Dobbiamo essere realisti e centrare l’obiettivo a cui si punta, senza vendere fumo - afferma il capogruppo Nicola Finco - per questo vogliamo concentrar­ci sul percorso dell’autonomia, cominciand­o dal referendum. E non c’è contraddiz­ione con il progetto nazionale di Matteo Salvini, che è solo una strategia di governo».

L’importante, avverte il costituzio­nalista Sandro De Nardi, è evitare i confronti troppo facili tra Veneto e Catalogna: «Fra i sostenitor­i della secessione è invalsa la moda dello “shopping istituzion­ale” negli altri Paesi, come se si potesse prescinder­e dal contesto costituzio­nale ed istituzion­ale di riferiment­o, secondo un diritto comparato à la carte in cui si sceglie solo ciò che fa comodo. Parliamo di realtà diverse».

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