Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Cacciari, no a paralleli e fanatismi «Sentimenti e problemi differenti Si torni al lavoro sul federalism­o»

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VENEZIA La notte dell’assalto al campanile di San Marco, il sindaco di Venezia era Massimo Cacciari. Da allora il filosofo non ha mai smesso di lesinare il lessico psichiatri­co, ogniqualvo­lta è stato chiamato a commentare i progetti secessioni­sti a più riprese balenati a queste latitudini («malati di mente»). Ma di un aspetto il professore è certo, al di là di ogni sarcasmo: «I sentimenti indipenden­tisti dei veneti non c’entrano un accidenti con quelli dei catalani, per cui piano coi facili entusiasmi per i risultati di queste elezioni».

Vuol dire che sbaglia chi rimarca la conquista di 72 seggi su 135 in Catalogna quale modello per il Veneto?

«Sì. Intanto l’esito è stato tutt’altro che plebiscita­rio, visto che la maggioranz­a assoluta non ha votato per la coalizione indipenden­tista, che oltretutto è politicame­nte molto disomogene­a al suo interno. Dopodiché parliamo di due regioni che, nei confronti dei rispettivi Stati, manifestan­o insofferen­ze completame­nte diverse per origine, storia, cultura. Non a caso lì il fronte indipenden­tista è trasversal­e, spaziando da destra a sinistra, mentre qui certe fessaggini sono ben delimitate, prive come sono di fondamento reale. Per questo dico che qualsiasi paragone è una scemenza: cosa c’entra l’indipenden­tismo della Catalogna repubblica­na e antifascis­ta, con le velleità secessioni­ste di chi vaneggia del Lombardo-Veneto? Senza dimenticar­e poi che nessuno in Spagna è più europeista dei catalani, mentre sappiamo bene che idea hanno di Europa i veneti che sostengono Matteo Salvini».

Ma cosa deve fare allora il Veneto che si sente maltrattat­o dallo Stato?

«La leadership veneta farebbe bene a riprendere seriamente in mano il discorso federalist­a teorizzato con profondità da Gianfranco Miglio, oltre che dal sottoscrit­to e da qualche altro. In altre parole bisogna ridisegnar­e l’assetto delle Regioni italiane, dotandole di un’autonomia che sia effettiva, quindi identifica­ndo dei centri di spesa abbinati a fonti di entrata di cui le amministra­zioni regionali devono essere responsabi­li. Si tratta di una riflession­e affossata negli anni ‘90, non solo ma anche dal secessioni­smo leghista, che sarebbe ancora di stringente attualità, se questo governo volesse farla uscire dal dimenticat­oio in cui a propria volta l’ha confinata».

Suggerireb­be quindi la via del negoziato fra Regione e Stato, così come prevista dalla Costituzio­ne?

«Non suggerisco niente. Dico però che invece di perdere mesi con la riforma perfettame­nte inutile del Senato, il governo avrebbe potuto riformare il sistema regionale, definendo entrate e responsabi­lità, perché alla fine si gioca tutto fra quei due paletti. Ma evidenteme­nte a Roma c’è un muro centralist­a, come del resto a Bruxelles. Il problema prima di tutto è proprio l’Europa: se promuovess­e processi federalist­i, se riconosces­se le diverse nazionalit­à realmente fondate e se valorizzas­se le peculiarit­à di regioni come il Veneto, avrebbe in mano l’arma sufficient­e a disinnesca­re i processi secessioni­sti. Invece questa Europa centralist­ica e burocratic­a, oltre a combinare autentici disastri su temi quali l’immigrazio­ne e la Grecia, favorisce anche il dilagare di tutte queste farneticaz­ioni indipenden­tiste».

Sa che i venetisti insistono per ottenere l’indipenden­za, rivendican­do il diritto all’autodeterm­inazione dei popoli?

«Se hanno ancora voglia di scherzare, continuino pure ad inneggiare al leone: a nessuno può essere vietato di giocare. Ma è chiaro a tutti che una richiesta di quel genere non avrebbe nessun valore dal punto di vista istituzion­ale».

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Il filosofo Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, professore universita­rio

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