Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
CERCASI STARTUP SUPERVELOCI
Sono ancora una specie rara in Veneto le startup che correndo alla velocità della gazzella tagliano il traguardo di un milione e oltre di vendite annue. Né si vedono startup dal corpo di cavallo e con un singolo corno in mezzo alla fronte che riesce a forare il tetto di un miliardo per quanto riguarda la loro valutazione. Eppure, sono le «gazzelle» e gli «unicorni» che fanno grandi i territori che li allevano. Contandosi sulle dita della mano le startup che s’ingrandiscono significativamente, i capitali di rischio sono attratti a fatica. È la rapida espansione delle nuove imprese che calamita una gran massa di finanziamenti privati, generando così un circolo virtuoso che alimenta la crescita. Se ciò accadesse, allora si potrebbe anche guardare con attenzione al numero di startup create annualmente. La Silicon Valley è un forte leader dell’imprenditorialità innovativa proprio perché ha il vantaggio di nutrire startup che scalano la montagna della crescita e prontamente giungono alla vetta. Non sono mancati in Veneto rilevanti interventi pubblici e privati per il varo di imprese innovative. Ne sono scaturite strutture d’incubazione per portare vincenti sui mercati nuove idee imprenditoriali. Basti pensare agli incubatori M31, H-Farm, Start Cube, VegainCube, Fondazione la Fornace dell’Innovazione, Ex Herion alla Giudecca. Quali allora le cause del deficit di crescita? Dalla soffocante burocrazia alla scarsa propensione a investire nelle startup, è lungo il cahier de doléance. Ci pare però che dalla lista sia assente una voce: la «sindrome da eccesso di carico informativo». Negli incubatori si accumulano fatti che gli aspiranti imprenditori assimilano e trasformano in un business plan, il veicolo con a bordo i dati economico-finanziari che indirizzano le startup verso il traguardo del mercato. Noti i fatti, tanto da far credere che si sa quasi tutto ciò che si dovrebbe conoscere per portare nel mercato l’idea imprenditoriale, si ha la convinzione di essersi liberati dell’ignoranza. Quando, invece, è l’ignoranza – quella creativa che intenzionalmente segue, non precede, la conoscenza – che trasforma una startup tartaruga in una veloce gazzella, se non in un unicorno. Con ciò non suggeriamo agli incubatori di inaugurare delle classi dove s’insegna ignoranza, ma di progettare palestre dove praticare la ginnastica del «non sapere di non sapere». Dietro le «gazzelle» e gli «unicorni», ci sono imprenditori contenti di non aver ottenuto ciò che avrebbero voluto se si fossero fatti traviare dalla lusinga dei fatti.