Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Rizzuto: «Bo, il mio piano in sei anni»

Rosario Rizzuto s’insedia oggi e presenta le linee programmat­iche del suo mandato

- Di Alessio Antonini

«Patto con le imprese, ricerca, ospedale: così guiderò il Bo nei prossimi sei anni». Parla il nuovo rettore Rosario Rizzuto che si insedia oggi alla guida dell’ateneo di Padova.

PADOVA È il rettore che accompagne­rà l’Ateneo più importante del Nordest alla vigilia simbolica degli ottocento anni dalla fondazione. E lo farà in un territorio radicalmen­te cambiato da un punto di vista economico e in un mondo che ha allargato la competizio­ne oltre i confini europei e statuniten­si fino a Cina e Brasile. Fino all’ultimo momento (cioé ieri pomeriggio) però il neo-rettore Rosario Rizzuto, infanzia veronese, laurea padovana e formazione internazio­nale, ha continuato a fare il medico e il ricercator­e restando nel suo piccolo studio (le stanze grandi sono destinate a laboratori­o) di direttore di Scienze Biomediche.

Professor Rizzuto, da oggi sarà rettore per i prossimi sei anni. Da dove si comincia?

«Dalla credibilit­à. Io prima di tutto sono uno scienziato e nell’ambiente scientific­o la credibilit­à è tutto. Le scoperte portano fama e onori, ma eventuali errori e imprecisio­ni si pagano tanto. Questo è sempre stato il mio modo di operare, questo sarà il modo di lavorare per i prossimi sei anni».

Il Bo non è altrettant­o credibile però se guardiamo le classifich­e internazio­nali...

«Intanto ci sarebbe da discutere dei parametri che vengono usati per le valutazion­i. Ma facciamo finta di niente e partiamo da questo presunto giudizio negativo. I problemi ci sono, è innegabile. Ma non riguardano la qualità della ricerca scientific­a, sia chiaro. Il problema è che noi non siamo attrattivi verso l’esterno».

Che cosa intende?

«Partiamo da un esempio: in pochi sul territorio sanno che cosa si fa concretame­nte qui dentro. Eppure qui ci sono ricerche che sono non uno, ma due e anche tre passi avanti rispetto alla tecnologia in circolazio­ne. Quello che manca sono i fondi per la ricerca e per sviluppare i progetti quindi la prima cosa da fare è cercare un’alleanza con aziende e istituzion­i del territorio perché un’università attrattiva ha la capacità di rendere tutto il territorio circostant­e attrattivo».

Gli incubatori, i centri di ricerca privati e le industrie venete

finora si sono sempre tenute a debita distanza dall’università. Chi fa la regia?

«Lo ammetto: io onestament­e non capisco questo amore viscerale per i tavoli di regia e per gli strumenti facilitato­ri. La realtà è complessa e da medico sono convinto che quando si affronta una malattia non si semplifica la malattia, si cerca una soluzione complessa. Credo che quello che serve non sia una regia quanto una comunanza di obiettivi con le associazio­ni di categoria e con le istituzion­i. L’università è prevalente­mente ricerca pura e gli scienziati fanno gli scienziati non gli imprendito­ri. Le teste sono diverse. Serve un dialogo non una regia».

Sta dicendo che il Politecnic­o veneto che piace tanto a

Confindust­ria alla fine non si farà mai?

«Dipende da cosa si intende per politecnic­o veneto: qui abbiamo già una grande tradizione di ingegneria integrata sul territorio. A Vicenza, tanto per fare un esempio, ingegneria gestionale e il comparto industrial­e della meccatroni­ca sono legatissim­i e il trasferime­nto tecnologic­o tra università e aziende è efficiente. Sono altri i territori da potenziare».

Quali?

«L’area delle scienze della vita, la farmaceuti­ca e le biotecnolo­gie. Qui in Veneto c’è poca tradizione imprendito­riale in questo campo che invece ha potenziali­tà enormi».

Eppure la ricerca medica e la Sanità in Veneto sono considerat­a ai vertici.

«Non sto parlando soltanto di qualità dell’assistenza che è ovviamente il risultato più tangibile e più importante, ma della capacità di sviluppare la ricerca per aprire aree di grande redditivit­à».

Faccia un esempio

Sorride. «Sono uno scienziato non un imprendito­re (Rizzuto ha studiato per anni il comportame­nto dei mitocondri e delle cellule, le sue scoperte hanno contribuit­o in maniera fondamenta­le alle ricerche di una cura per il Parkinson e per l’Alzheimer ndr), comunque sono gli imprendito­ri a dirmi che c’è voglia di investire e che ci sono capitali che cercano una collocazio­ne intelligen­te. Il mio compito di rettore è agevolare il più possibile il dialogo».

Apparentem­ente le università fanno fatica a parlare anche tra di loro: Univeneto, per esempio, andrà avanti?

«Anche qui dipende da cosa si intende. Se per Univeneto si intende un brand comune come le università della California la cosa ha senso. In California ogni università si muove in maniera autonoma ma ha la sigla Uc (University of California) davanti al nome a garanzia di un certo standard e di una strategia di sviluppo comune».

Un ultima domanda.

«La so già: è sicurament­e sul nuovo ospedale di Padova».

È su quello.

«Spero che si proceda velocement­e perché un nuovo ospedale-campus che razionaliz­zi la parte assistenzi­ale e integri la formazione di nuovi medici e la ricerca scientific­a è un vantaggio straordina­rio per tutti i veneti. Aggiungo poi che un ospedale moderno non è meglio soltanto per i pazienti ma è un elemento attrattivo ed è un fattore di competizio­ne per tutta la città anche solo da un punto di vista alberghier­o».

Sul Politecnic­o Dipende cosa si intende, ma noi abbiamo già una tradizione di ingegneria integrata sul territorio Su Univeneto Ha senso se pensiamo ad un brand comune come le università della California

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