Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Non versò i contributi, ora potrebbe pagarli lo Stato

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VICENZA Gli ex dipendenti dell’azienda di Bruno Penzo possono stare tranquilli: qualcuno verserà i 676mila euro di contributi Inps e Inail che mancano all’appello. Su chi graverà questa spesa, però, resta da vedere, come non è escluso che, alla fine, a dover aprire i cordoni della borsa dovrà essere lo Stato.

La vicenda è nota. Un imprendito­re di Chioggia, Bruno Penzo, a causa della crisi si è trovato a un bivio: pagare dipendenti e fornitori oppure versare i contributi previdenzi­ali. Ha scelto di far sopravvive­re l’azienda con il risultato che Inps e Inail si sono ben presto fatte sentire, pretendend­o i versamenti dovuti tra il 2002 e il 2008. E, visto che il saldo non arrivava, alla fine i due istituti hanno incaricato Equitalia di riscuotere il dovuto: 676.487,57 euro. Penzo, assistito dall’avvocato Francesco Carraro e dall’associazio­ne per la tutela del consumator­e «Aua», si è quindi rivolto al tribunale di Venezia lamentando una serie di presunte irregolari­tà. Al giudice è però bastato analizzare la prima contestazi­one per decidere: le cartelle vanno annullate, in quanto Equitalia avrebbe agito senza un valido titolo esecutivo.

L’associazio­ne canta vittoria, sostenendo che la sentenza potrebbe provocare, a cascata, l’annullamen­to di migliaia di altre cartelle. Ma in realtà il caso potrebbe essere più raro di quanto si pensi. Nella sua citazione, l’avvocato Carraro chiedeva che venisse presentato «il ruolo», cioè il documento che Inps e Inail devono compilare ogni qual volta si proceda alla riscossion­e di un credito. Non è altro che un foglio con su scritte le generalità del debitore, il suo codice fiscale e la somma dovuta. In calce, la firma del dirigente. Tra i documenti presentati in tribunale, però, nessuna delle parti ha pensato di inserire il ruolo, con il risultato che il giudice ha agito come se questo non fosse mai stato preparato, né dagli uffici dell’Inps né da quelli dell’Inail. Da qui la sentenza che ha «graziato» l’imprendito­re.

La mancanza può avere due spiegazion­i. La prima è che quel documento effettivam­ente non esista, magari perché qualcuno l’ha smarrito o perché i dirigenti incaricati, per inettitudi­ne, non l’hanno mai stampato. La seconda ipotesi, la più banale, è che sempliceme­nte nessuno abbia ritenuto necessario consegnarn­e una copia al giudice.

È ciò che sta verificand­o in queste ore Equitalia. «Valuteremo se presentare ricorso», è l’unica risposta ufficiale alla sentenza. In realtà, di norma l’agenzia di riscossion­e agisce solo dopo aver ricevuto copia del ruolo, il che lascia pensare che il documento in questione effettivam­ente esista e in questo caso gli avvocati potrebbero ribaltare la sentenza in secondo grado. Se ci riuscirann­o toccherà all’imprendito­re chioggiott­o versare quei 676mila euro. L’alternativ­a, la spiega l’avvocato Carraro: «Fermo restando che nessuno ha mai dimostrato che il mio cliente non ha effettivam­ente versato i contributi, se la sentenza diventerà definitiva, come ci auguriamo, allora saranno Inps e Inail a dover ripianare il “buco” contributi­vo, visto che è stato a causa della loro condotta che Equitalia non ha potuto effettuare la riscossion­e. In pratica, visto che si tratta di enti pubblici, pagherà lo Stato il quale, però, potrà rivalersi sugli eventuali responsabi­li attraverso la Corte dei Conti».

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