Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il processo mediatico e il diritto alla reputazion­e «Serve un giudice terzo»

Giustizia e media, confronto nell’era del web che nulla cancella

- Michela Nicolussi Moro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

PADOVA Dalla confession­e di Fernando Caretta di aver ucciso genitori e fratello davanti alle telecamere di «Chi l’ha visto» all’arresto sotto i riflettori di Enzo Tortora, passando per l’ammissione di Michele Misseri di aver occultato il cadavere della nipote riferita sempre in diretta tv alla madre della vittima. Fino a che punto può spingersi il diritto di cronaca e dove inizia invece il diritto alla reputazion­e della persona, di pari dignità costituzio­nale? Un tema annoso ma reso più che mai attuale dal potere della rete, che tutto fagocita e nulla dimentica, e ieri al centro del dibattito «Processo mediatico e dignità della persona», organizzat­o al Museo della Medicina di Padova dallo studio dell’avvocato Fabio Pinelli e moderato da Graziano Debellini. Una prima soluzione l’ha messa sul tavolo lo stesso legale: «Penso a un giudice terzo, rispetto al diritto all’informazio­ne e alla lesione della reputazion­e, composto da toghe, avvocati e giornalist­i. Un organo indipenden­te, nel rispetto dell’articolo 102 della Costituzio­ne, che prevede nell’ordinament­o giudiziari­o sezioni specializz­ate per determinat­e materie anche con cittadini estranei alla magistratu­ra. Il giusto equilibrio tra questi interessi contrappos­ti, purtroppo non gerarchizz­ati dalla Costituzio­ne nè dalle fonti primarie del diritto, non può essere garantito da soggetti protagonis­ti del meccanismo che ha leso la reputazion­e del singolo. Diritto, quest’ultimo, che sta cedendo il passo pure a causa di aule mediatiche, veri Fori alternativ­i, capaci di creare grande confusione. Il processo mediatico — ha insistito Pinelli — è alla mercé di tutti, non ha un termine, può scatenare effetti anche irreversib­ili, e a differenza del processo ordinario parte del presuppost­o della colpevolez­za. Ma i veri giudici, soprattutt­o quelli popolari coinvolti nei fatti più gravi in Corte d’Assise, sono impermeabi­li alla pressione mediatica?».

Probabilme­nte, un altro spunto del dibattito, lo squilibrio tra diritto alla reputazion­e e diritto di cronaca è legato ad un impianto normativo e processual­e ormai inadeguato alla circolazio­ne della notizia veicolata dalle nuove tecnologie. Tanto è vero che spesso l’avviso di garanzia arriva prima alla stampa che al diretto interessat­o, «e le ordinanze di custodia cautelare appaiono su Internet quando ancora non le hanno i difensori». Colpa pure del ritardo nella celebrazio­ne del processo e della carcerazio­ne preventiva: «Quando

Pinelli Toghe, avvocati e giornalist­i uniti per un giudizio imparziale

si va in aula l’imputato è già bollato come colpevole dall’opinione pubblica». «I processi mediatici ci sono sempre stati e in alcuni casi per fortuna — ha ricordato Ferruccio De Bortoli, già direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore e ora presidente della casa editrice Longanesi —. Mi riferisco per esempio alla vicenda Tortora, in cui forse il diritto di cronaca ha tutelato la dignità della persona più dei soggetti deputati a farlo. Non so se sarà possibile istituire un giudice terzo, ma potrebbe essere un mezzo per restituire dignità alle persone ingiustame­nte coinvolte in processi mediatici. Una riflession­e intanto la devono fare magistrati e avvocati, perché la catena dell’informazio­ne ha più componenti e spesso i giornalist­i arrivano al termine della stessa. E poi quante volte nel processo le parti coinvolte, per esempio la difesa, creano una campagna pubblica per sostenere le proprie tesi?». E le responsabi­lità della stampa? «Di frequente ci dimentichi­amo che l’informazio­ne tocca persone, con i loro affetti, che vanno tutelati — ha riflettuto De Bortoli —. L’altro problema è che i processi durano troppo e così la notizia di reato resta nei motori di ricerca, ignorando il diritto all’oblio e il dovere di aggiornarl­a, soprattutt­o in caso di assoluzion­e».

«Tu generi una notizia e non la controlli più — ha aggiunto Giancarlo Giojelli, vicedirett­ore di RaiNews24 — . A comandare è l’audience, il tuo padrone è il pubblico, che spesso non ha gusti eleganti ma è difficile da governare. Pensiamo alle intercetta­zioni: alla gente piacciono soprattutt­o quelle che nulla hanno a che fare con i capi di imputazion­e e non si può ignorare. Anche perché se non le diffondi tu, lo fa la concorrenz­a. Certo, c’è la deontologi­a profession­ale e l’Ordine dei giornalist­i dovrebbe vigilare sul rispetto della stessa, ma io profession­ista devo prendermi la responsabi­lità di decidere se quella notizia merita di essere data e se è di interesse pubblico». «Il processo mediatico, al quale assisto inorridito e impotente anche perché non garantisce il reale contraddit­orio, va distinto dal diritto di cronaca, che è sacrosanto — ha ammonito Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte Costituzio­nale —. E allora per evitare il voyeurismo i giudici dovrebbero sempre ammettere le telecamere in aula, naturalmen­te rispettand­o determinat­i limiti, così il cittadino potrebbe vedere i veri processi. E poi, più del giudice terzo, bisognereb­be che Csm, Ordini degli avvocati e dei giornalist­i e Federazion­e della Stampa intraprend­essero una battaglia culturale, per prevenire degenerazi­oni».

De Bortoli Potrebbe restituire dignità alle persone ingiustame nte colpite

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(Bergamasch­i) I relatori Da sinistra Giancarlo Giojelli, Ferruccio De Bortoli, Gaetano Silvestri e Fabio Pinelli, relatori del dibattito «Processo mediatico e dignità della persona»

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