Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

La sfida continua «Vegliare sulle frane»

- Francesco Chiamulera © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

U n veneto su venticinqu­e è bellunese, ma sette frane su dieci, in questa regione, hanno luogo nella provincia di Belluno. Parte da qui, da un dato che dice più di mille raffiguraz­ioni oleografic­he sulla «montagna assassina» o sul «territorio dimenticat­o», il cinquantad­uesimo anniversar­io della tragedia del Vajont, che ricorre oggi e che è stato ricordato ieri da un convegno, a Longarone, sul dissesto idrogeolog­ico e la prevenzion­e, voluto dal Comune e dai Vigili del Fuoco. Cinquantad­ue anni fa una immensa frana si staccò dal Monte Toc, al confine tra Veneto e Friuli, precipitan­do nell’invaso della diga e sollevando una massa d’acqua che spazzò via, nella notte, gran parte dei paesi di Longarone, Codissago, Erto e altre frazioni, uccidendo quasi duemila persone.

Un anno significat­ivo, il 2015, per ricordare la tragedia (umana e industrial­e) di allora: a San Vito, Cortina, Borca e Vodo di Cadore il conto tra riparazion­e dei danni delle frane estive e messa in sicurezza del territorio dovrebbe superare i cinquanta milioni di Euro, ma il Veneto deve ragionare anche con le devastazio­ni subite dalla riviera del Brenta dopo il tornado. «Gli studi che abbiamo a disposizio­ne dicono che per mettere in sicurezza tutto il territorio nazionale ci vogliono quaranta miliardi. Una cifra ingente, certo. Ma lo Stato ne ha incassati nel 2013 quarantatr­é solo per la tassa sulla casa», riflette Fabio Bonfà, vicepresid­ente nazionale degli ingegneri. «E se pensassimo a una tassa di scopo che da sola preverrebb­e la gran parte dei disastri?» L’ultimo capitolo di spesa nella finanziari­a per la prevenzion­e del rischio idrogeolog­ico, riferisce Bonfà, non supera il miliardo e trecento milioni: «Risorse non sufficient­i. Bisogna fare qualche rotatoria in meno e qualche opera in più».

A mettere ordine nella consueta foresta di leggi italiana si sta dedicando in questi mesi il Governo con il disegno di legge che porta il nome della democratic­a Chiara Braga. Ma mentre attende di capirne meglio i contenuti e i decreti attuativi, l’assessore regionale alla protezione civile Gianpaolo Bottacin pensa ai disastri tutti veneti accaduti in questi mesi: «il Piano d’Alpaos, di mitigazion­e del rischio, comporta opere per circa tre miliardi di Euro. Una cifra grande, ma che corrispond­e grosso modo alla spesa per i danni meteorolog­ici subiti in questi ultimi dieci anni».

A distanza di oltre cinquant’anni dal Vajont forse la buona notizia è che quasi nessuno si arrischia più a parlare di «imprevedib­ilità della natura», di «tragica fatalità», a proporre metafore romantiche (come fecero illustri scrittori), o a scrivere, come fece Giorgio Bocca: «si potrebbe dire che questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani: tutto è stato fatto dalla natura».

Nel 2015, però, colpiscono forse sopra a tutto il resto le trasformaz­ioni del meteo intervenut­e in mezzo secolo. Le cronache della tragedia di quella notte del 1963 raccontano del cielo stellato del Vajont, la fresca aria autunnale attraversa­ta dall’onda. Oggi, a Longarone, 473 metri sul livello del mare, nel pomeriggio di metà ottobre pioviggina e ci sono venti gradi.

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