Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

DIETRO GLI APPLAUSI

- Di Alessandro Baschieri

Tremila imprendito­ri arrabbiati per le strade di Treviso. Di solito ai cortei ci andavano le tute blu, non le giacche blu, e quella marcia passò alla storia come una delle proteste più clamorose della categoria: «Non contro il governo, ma contro un Paese che ci intralcia» spiegò all’epoca Unindustri­a. Era il 2011. E altroché se era una marcia contro il governo: «A capo c’era uno dei nostri che non faceva molto per i nostri» ha ammesso l’altro giorno un confindust­riale di lungo corso a reato abbondante­mente prescritto.

Ebbene, quella stessa associazio­ne che in Italia è etichettat­a come movimentis­ta e avanguardi­sta, ieri il governo lo ha invitato sul palco a parlare in solitaria. Nello Zaiastan, colline politicame­nte ostili ma in realtà popolate da capitani d’impresa che sanno e vogliono applaudire oltre le bandiere. Anche se il premier non è più «l’amico» Berlusconi ma un uomo che rappresent­a un’area politica «altra». L’abbraccio era nelle premesse. Nel titolo di un’assemblea che invitava all’alleanza, a firmare un patto tra la categoria e la pubblica amministra­zione.

Non si è udito un solo fischio, applausi all’ingresso e durante il discorso. La chiusa è stata salutata con mezza platea in piedi.

Non vogliamo arrovellar­ci con misurazion­i sui decibel per capire se è andato sotto o sopra le aspettativ­e, ci basta sottolinea­re qui che la calorosa accoglienz­a non può dirsi sorprenden­te e a questo punto vale la pena chiedersi perché.

Perché Renzi è credibile agli occhi della media e grande impresa? Perché ieri le sue parole hanno convinto i presenti? Perché da queste parti lo applaude anche chi applaude il suo nemico Zaia? Perché?

Sicurament­e c’entra il nuovo termometro economico. La ripresina lo ha riportato al clima di fiducia che l’aveva accompagna­to nella sua prima visita a Treviso del 2014 (in mezzo non è andata altrettant­o bene ad onor del vero, tanto che il traino delle regionali proprio non s’è visto). Sicurament­e c’entra il suo ottimismo che in economia non è polvere di stelle ma a volte fa da solo il mercato. La fiducia - se è vero, dato emerso ieri, che i risparmi degli italiani valgono 3.900 miliardi di euro - basta a volte per incentivar­e i consumi e aprire i portafogli. E poi Renzi lega spesso la parola fiducia alla parola orgoglio. L’orgoglio di chi è capace ed efficiente: ieri ha detto che gli imprendito­ri veneti sono migliori dei tedeschi ma nessuno ci ha visto piaggeria, piuttosto strategia. Crederci aiuta a vincere le sfide e ad abbattere gli ostacoli.

Gli applausi maggiori li ha presi quando incitava e sono stati più forti di quando ha tirato fuori dal mazzo quello che lui considera il jolly, ovvero il superammor­tamento che è anche la promessa di giornata: si traduce con la possibilit­à di sgravare del 140% gli investimen­ti. Se ti rifai il macchinari­o nel 2016, stando all’annuncio, risparmi in tasse più di quanto spendi o giù di lì. Eppure non basta a spiegare. Alla fin fine, e questa a nostra avviso è la vera risposta alla domanda «Perché?», Renzi risulta credibile in quanto ha avviato una serie di riforme. La platea viene da anni difficili, dall’insofferen­za per i tempi lenti del politiches­e, e vedere che poco o tanto di quello che ha promesso viene fatto (Jobs act, sgravi, articolo 18, scuola, senato, ora la pubblica amministra­zione) lo considera già un successo. Gli riconosce il coraggio dell’impopolari­tà e della leadership. Gli riconosce l’energia di portare a termine riforme a dispetto di chi protesta per leso interesse (e Renzi sa quanto gli è costata la scuola).

Mai sentite tante giacche blu dire come ieri: «È l’uomo giusto». Speriamo sia vero, a metà del guado possiamo solo augurarcel­o visto che il giudizio definitivo su Renzi lo darà la storia. Anche perché oltre a fare, bisogna mantenere.

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