Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
DIETRO GLI APPLAUSI
Tremila imprenditori arrabbiati per le strade di Treviso. Di solito ai cortei ci andavano le tute blu, non le giacche blu, e quella marcia passò alla storia come una delle proteste più clamorose della categoria: «Non contro il governo, ma contro un Paese che ci intralcia» spiegò all’epoca Unindustria. Era il 2011. E altroché se era una marcia contro il governo: «A capo c’era uno dei nostri che non faceva molto per i nostri» ha ammesso l’altro giorno un confindustriale di lungo corso a reato abbondantemente prescritto.
Ebbene, quella stessa associazione che in Italia è etichettata come movimentista e avanguardista, ieri il governo lo ha invitato sul palco a parlare in solitaria. Nello Zaiastan, colline politicamente ostili ma in realtà popolate da capitani d’impresa che sanno e vogliono applaudire oltre le bandiere. Anche se il premier non è più «l’amico» Berlusconi ma un uomo che rappresenta un’area politica «altra». L’abbraccio era nelle premesse. Nel titolo di un’assemblea che invitava all’alleanza, a firmare un patto tra la categoria e la pubblica amministrazione.
Non si è udito un solo fischio, applausi all’ingresso e durante il discorso. La chiusa è stata salutata con mezza platea in piedi.
Non vogliamo arrovellarci con misurazioni sui decibel per capire se è andato sotto o sopra le aspettative, ci basta sottolineare qui che la calorosa accoglienza non può dirsi sorprendente e a questo punto vale la pena chiedersi perché.
Perché Renzi è credibile agli occhi della media e grande impresa? Perché ieri le sue parole hanno convinto i presenti? Perché da queste parti lo applaude anche chi applaude il suo nemico Zaia? Perché?
Sicuramente c’entra il nuovo termometro economico. La ripresina lo ha riportato al clima di fiducia che l’aveva accompagnato nella sua prima visita a Treviso del 2014 (in mezzo non è andata altrettanto bene ad onor del vero, tanto che il traino delle regionali proprio non s’è visto). Sicuramente c’entra il suo ottimismo che in economia non è polvere di stelle ma a volte fa da solo il mercato. La fiducia - se è vero, dato emerso ieri, che i risparmi degli italiani valgono 3.900 miliardi di euro - basta a volte per incentivare i consumi e aprire i portafogli. E poi Renzi lega spesso la parola fiducia alla parola orgoglio. L’orgoglio di chi è capace ed efficiente: ieri ha detto che gli imprenditori veneti sono migliori dei tedeschi ma nessuno ci ha visto piaggeria, piuttosto strategia. Crederci aiuta a vincere le sfide e ad abbattere gli ostacoli.
Gli applausi maggiori li ha presi quando incitava e sono stati più forti di quando ha tirato fuori dal mazzo quello che lui considera il jolly, ovvero il superammortamento che è anche la promessa di giornata: si traduce con la possibilità di sgravare del 140% gli investimenti. Se ti rifai il macchinario nel 2016, stando all’annuncio, risparmi in tasse più di quanto spendi o giù di lì. Eppure non basta a spiegare. Alla fin fine, e questa a nostra avviso è la vera risposta alla domanda «Perché?», Renzi risulta credibile in quanto ha avviato una serie di riforme. La platea viene da anni difficili, dall’insofferenza per i tempi lenti del politichese, e vedere che poco o tanto di quello che ha promesso viene fatto (Jobs act, sgravi, articolo 18, scuola, senato, ora la pubblica amministrazione) lo considera già un successo. Gli riconosce il coraggio dell’impopolarità e della leadership. Gli riconosce l’energia di portare a termine riforme a dispetto di chi protesta per leso interesse (e Renzi sa quanto gli è costata la scuola).
Mai sentite tante giacche blu dire come ieri: «È l’uomo giusto». Speriamo sia vero, a metà del guado possiamo solo augurarcelo visto che il giudizio definitivo su Renzi lo darà la storia. Anche perché oltre a fare, bisogna mantenere.