Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I decreti attuativi, l’Irap e le tasse pagate in anticipo «Collaborare e cambiare»
SPRESIANO (TREVISO) Sul maxischermo scorrono banconote da «lire diecimila». E una voce fuoricampo coniuga così i verbi dei contribuenti e degli esattori: «Tu paghi, egli paga, noi paghiamo, voi pagate… essi riscuotono». Sono i titoli di testa del film «I tartassati», capolavoro di Steno con Totò ed Aldo Fabrizi, bianco e nero del 1959. I duemila e passa spettatori ridono, ma non siamo al cinema. Nella tensostruttura che si specchia sulle Bandie, «gremita come se fosse X Factor ed invece sono tutti imprenditori» (citazione super-pop di Tito Boeri, presidente dell’Inps), va in scena tutt’altro genere di arte: quella di produrre, e che impresa fare impresa, se insieme alla pubblica amministrazione non si impara ad essere «alleati per competere».
Daniele Marini, direttore scientifico di Community Media Research, riassume i risultati di un’indagine che fra interviste e discussione ha visto interpellati in un anno 1.500 iscritti ad Unindustria: la burocrazia come sinonimo di peso, lentezza e opacità, le aziende che lamentano lo scollamento con l’apparato pubblico e tuttavia hanno coscienza della legalità come leva competitiva. «Ma non c’è una visione improntata all’anti-Stato - puntualizza il docente universitario - c’è piuttosto bisogno di uno Stato diverso, vorrei dire diversamente Stato, in cui la pubblica amministrazione diventa infrastruttura dello sviluppo».
Già. Invece se racconti agli stranieri come funziona qua, non riescono a crederci, come testimonia Dominick Salvatore, professore italoamericano di Economia Politica alla Fordham University di New York e alla Shangai Finance University: «Quando spiego che le vostre imprese devono pagare le imposte in anticipo su quello che percepiranno, i miei colleghi Oltreoceano pensano che non possa essere vero. Ve lo dico proprio: voi non siete cavalieri del lavoro, voi siete eroi del lavoro, per operare in un sistema del genere». E come risolvono la tragedia dell’intraprendere, questi semidei della modernità? «La ricetta non c’è - risponde Alberto Baban, numero uno della Piccola Industria ma c’è un percorso che parte da Treviso grazie al grandissimo senso civico della classe imprenditoriale. Chiediamo rispetto per la gente che lavora, perché le imprese sono i più grandi alleati delle riforme. Il problema è attuarle: aspettiamo più di 600 decreti».
Per questo gli Industriali non abbasseranno la guardia. «Siamo e intendiamo rimanere un’associazione capace di esprimere forti e visibili azioni di tutela e denuncia ogni volta che se ne dovesse ravvisare la necessità», assicura Maria Cristina Piovesana, leader di Unindustria Treviso, apprezzando le riforme relative all’occupazione («il Jobs Act, le decontribuzioni per i nuovi assunti e l’eliminazione dell’Irap sul costo del lavoro») ed aspettando «gli annunciati interventi fiscali». Detto questo, però, il «nuovo contratto sociale» offerto al governo è qui, nero su bianco. Senza cedimenti al populismo («sono assolutamente inutili le piazze dell’antipolitica, frequentate dai professionisti della protesta»), tutt’al più con una concessione alla narrazione renziana («per “cambiare verso all’Italia” è indispensabile che le forze migliori del Paese superino una storia fatta di corporativismi e conflitti per trovare le ragioni superiori di obiettivi condivisi»). Se non fosse abbastanza chiaro, la presidente lo scandisce: «Credo che non ci siano alternative: lo Stato e la società civile devono iniziare finalmente a col-la-bora-re». Applauso, uno dei 17 che ritmano il suo intervento, imperniato attorno ad una parola d’ordine: «Cambiare».