Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Brugnaro: «Con i quadri rifaccio le scuole»
Il sindaco non cede: «Dobbiamo salvare i veneziani». E la direttrice dei Musei Civici: «Sarà un percorso condiviso». Critiche da sinistra e dal mondo della cultura. Ma la fittiana Bonfrisco: « È una buona pratica»
VENEZIA Possibilisti e radicali, «equilibristi» e indignati. Sulla proposta lanciata nei giorni scorsi dal sindaco Luigi Brugnaro di vendere alcune delle opere d’arte di proprietà dei Musei Civici, in particolare la «Judith II Salomé» di Klimt e «il Rabbino di Vitebsk» di Chagall, per correre ai ripari in vista della necessità di reperire 58 milioni per rispettare il patto di stabilità ieri sono intervenuti in molti. Prima tra tutti proprio Gabriella Belli direttrice dei Musei Civici, tornata da poche ore dagli Stati Uniti: «Ho la speranza che la città possa risolvere i propri problemi non ponendo sul piatto questa ipotesi – ha detto la direttrice questi quadri fanno parte della ricchezza del patrimonio e della storia della città. Spero che il sindaco riesca a trovare altre strade. Se accadesse sarebbe comunque un percorso condiviso con i massimi organi dello Stato, dunque non mi preoccupo. Va detto anche che quando sono stati venduti gli altri edifici, uno su tutti Ca’ Corner della Regina nessuno ha gridato allo scandalo. Non credo che anche in questo caso la scelta sarebbe presa a cuor leggero nemmeno dal sindaco». E ieri in mattinata proprio Luigi Brugnaro, nell’incontro di presentazione dei suoi primi 100 giorni da sindaco è tornato sul tema: «Piuttosto che vedere scuole o biblioteche a pezzi faccio questa scelta, prima di morire guardando il quadro vendo il quadro – ha detto il primo cittadino – i soldi dei quadri servirebbero per sistemare le case dei bisognosi: per salvare Venezia dobbiamo salvare i veneziani». Dribblato così il problema della destinazione dei fondi, visto che la normativa italiana non consente di coprire la spesa corrente con un conto capitale, rimane però ancora il «nodo» dell’inalienabilità di opere contenute nell’elenco dell’articolo 10 del codice dei beni culturali del 2004 che definisce inalienabili in quanto beni pubblici «le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche». «Per fortuna ha già risposto Franceschini – dice Salvatore Settis, archeologo, ex rettore della Normale di Pisa io credo che, anche fosse stata una battuta, battute di questa volgarità non si possano fare. Voler vendere un quadro di Chagall che rappresenta un rabbino quando nel 2016 c’è la ricorrenza della nascita del ghetto di Venezia, data che verrà celebrata con l’attenzione delle comunità ebraiche di tutto mondo è una gaffe di proporzioni madornali». «Se tutti i sindaci fossero come Brugnaro, i tanti Marino del Pd non esisterebbero nemmeno – ha detto invece la senatrice Anna Cinzia Bonfrisco, capogruppo dei Conservatori e Riformisti l’idea di mettere all’asta alcune opere d’arte perché non legate, né per tema né per autore alla storia della città al fine di continuare a garantire ai veneziani servizi necessari ed aiutare chi oggi ha più bisogno dovrebbe diventare una buona pratica per altri comuni d’Italia».
All’appello per fermare (prima ancora che sia veramente stata decisa) la vendita ieri si sono uniti anche il consigliere comunale Nicola Pellicani, il capogruppo del Pd Andrea Ferrazzi e Andrea Lenarduzzi della Cgil di Venezia. «Il discorso per i due quadri è molto diverso – dice invece Angela Vettese, ex presidente della Fondazione Bevilacqua la Masa - la Giuditta di Klimt è stata comprata grazie all’internazionalità di Venezia stessa. E’ questa capacità che connota Venezia ed quello che può darle un futuro. Privare Ca’ Pesaro del suo fulcro è un’offesa all’indennità dei veneziani».