Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Alcol, amore e gioco: il centro che cura i preti
I francescani: «Il programma di recupero dura 6 mesi»
MONSELICE (PADOVA) Dall’alcol all’amore, al gioco patologico. A Monselice, nel Padovano, sorge un centro che cura i preti in difficoltà. La cura prevede anche incontri di gruppo e consulenze psichiatriche. I francescani: «Il programma di recupero dura sei mesi».
MONSELICE (PADOVA) Un campo da calcio in erba curatissima. Uno da pallavolo in cemento. Un grande viale alberato. Un laghetto artificiale. Un piccolo magazzino. Una lunga distesa di serre. Sentieri sterrati, vigneti e un bel po’ di verde da coltivare. Nessun rumore, tutto scorre nella massima tranquillità. Di qua, i binari della ferrovia. Di là, la statale e l’autostrada. E lì in fondo, con la nebbia che si è appena alzata per lasciare spazio ad un timido sole, ecco i Colli Euganei. Siamo alle spalle della zona industriale di Monselice, Bassa Padovana, dove da oltre trentacinque anni è aperta la Comunità di San Francesco, uno dei centri di recupero per alcolisti e tossicodipendenti più conosciuti e accreditati non solo del Veneto, ma anche di tutta Italia.
Ad istituire questa casa protetta, nel luglio del 1980, sono stati alcuni frati francescani conventuali legati alla vicina Basilica del Santo. Tanto che oggi, a guidare la struttura in coppia con uno dei suoi fondatori, padre Luciano Massarotto, è padre Danilo Salezze, già direttore del Messaggero di Sant’Antonio, il mensile che tira, soltanto nel nostro Paese, più di mezzo milione di copie.
Quest’oasi di pace, che fa sua la regola della riservatezza, non ospita soltanto i ragazzi e le ragazze che faticano a uscire dal tunnel dell’alcol o della droga, ma anche alcuni sacerdoti in difficoltà. Religiosi, di fresca o vecchia ordinazione, che attraversano un momento di crisi per le ragioni più varie. Che hanno bisogno di aiuto, di ascolto, di compagnia, di condivisione, di legami. E, perché no, di affetto. Preti che magari, nel pieno del cammino, temono di aver perso la loro vocazione. Uomini che hanno ceduto a qualche piccola, grande debolezza. Che hanno assecondato qualche naturale tentazione. Che soffrono nell’onorare il loro ministero. Che forse hanno sbagliato. E che, per questo, chiedono perdono, perché a farlo da soli proprio non ci riescono. E così domandano conforto, amicizia, comprensione. «Guardi, non è cattiveria, ma sono giornate un po’ particolari», taglia subito corto padre Salezze, riferendosi chiaramente al Sinodo dei vescovi tenutosi in Vaticano, al coming out di Krzysztof Charamsa (il monsignore polacco che ha confessato la propria omosessualità) e all’uscita scomposta di don Gino Flaim (il parroco trentino che, in merito alla pedofilia, ha detto: «I bambini cercano affetto e qualche sacerdote cede, posso capirlo»).
«Qui dentro ci sono anche alcuni preti, è vero, non è un segreto - sorride, di fronte alla nostra insistenza, il direttore della casa protetta di Monselice - Ma si tratta esclusivamente di persone con problemi di alcol e alcol correlati. Detto questo, vi saluto». Privacy, discrezione, poca voglia di parlare. Giusto così.
D’altronde, basta andare sul sito web della struttura di via Candie e consultare la sezione intitolata «Clero»: «La Comunità - si legge - accoglie consacrati, diocesani e religiosi che presentano disagi legati a dipendenze patologiche da sostanze tipo alcol, droghe e farmaci, ma pure riferiti a comportamenti come compulsioni alimentari, gioco patologico, shopping compulsivo, Internet e compulsioni sessuali». «Ecco, bene, vedo che sapete già tutto – conferma, con una certa diffidenza, padre Salezze - I posti a disposizione per i religiosi sono nove e il programma di recupero dura sei mesi. Adesso, davvero, basta così».
Pare che, ogni anno, i sacerdoti ospitati a Monselice non superino la decina. E che a mandarli qui, «mai contro la loro volontà», sottolinea il direttore del centro, siano generalmente i loro superiori. Se non, in prima persona, i vescovi delle varie diocesi.
Per parlare con padre Massarotto, bisogna andare verso le serre. Solo con lui si può discutere del programma della struttura che offre «ai fratelli un ambiente protettivo, contenitivo e non giudicante», con tanto di supporto psicoterapeutico individuale una volta alla settimana.
La cura prevede anche incontri di gruppo e consulenze psichiatriche per i casi più gravi. Il grosso del lavoro, comunque, lo fa «l’accompagnamento spirituale».
C’è qualche religioso disposto a raccontare la sua storia? Pure in maniera anonima, ovviamente. «Vi conosco, voi volete lo scoop, lo scandalo, ma io non vi accontenterò. Se non altro perché non saprei cosa inventarmi - sogghigna, col suo barbone bianco, padre Massarotto, mentre indica con gentilezza l’uscita dal centro - Sessualità, omosessualità, pedofilia. Dai, se proprio avete voglia, lo faccio io il coming out». Prego? «Non sono un frate, io sono un monaco!».
Padre Salezze Qui ci sono anche nove posti per religiosi ma capiteci, sono giorni un po’ particolari Padre Massarotto Se cercate uno scoop ve lo do io e faccio coming out: non sono un frate, sono un monaco