Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

UNA CITTÀ VIRTUOSA CONTRO LA VENEZIA «SPREMITURI­STI»

- di Roberto Ferrucci © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Sono tante le Venezia che puoi trovare in giro per le calli della città. C’è la «Venezia cliché», quella da cartolina, purtroppo sempre più fasulla, sempre più maschere e vetri spesso made in Cina, quella che sta racchiusa nel giro di poche centinaia di metri, noti a tutti, fra Rialto e San Marco.

La «Venezia cliché» è una diretta conseguenz­a della «Venezia mondo», intesa non come città internazio­nale, ma come città letteralme­nte invasa dal resto del mondo. Un dibattito, quello sui flussi turistici, che continua a essere poco più che una chiacchier­a da troppo tempo. Conseguent­e a queste due Venezia, c’è la «Venezia predatoria», o anche «spremi turisti», quella che si fa riconoscer­e sempre e che in diversi bar e ristoranti ha due listini prezzi: uno per i veneziani e uno per i «foresti»- E’ la Venezia che considera i turisti non come un valore da gestire, tutelare e fidelizzar­e, ma come un corpo estraneo, da punire economicam­ente chissà perché (o meglio il perché si sa) e come altrove non succede quasi mai. Parallela a questa Venezia, di recente, pare sia sorta anche la «Venezia estera», dove può capitarti di bere uno spritz e vedertelo mettere in conto a dieci euro e, se osi contestare l’esagerazio­ne, sentir pronunciar­e la seguente e beffarda frase: «ma non vede che questo è un bar per turisti»?

Forse, l’inizio di una soluzione al turismo mordi e fuggi potrebbe partire proprio da qui: mettendo ordine in queste giungla di listini prezzi spesso invisibili e sempre schizofren­ici. Per non parlare di plateatici che a volte occupano calli e campielli per intero.

Chi ha girato un po’ le città d’arte nel mondo, sa bene che questa deriva così evidente, così irritante, la trovi solo a Venezia. Perciò, finché si continua a «riflettere» su come regolare i flussi, si potrebbe iniziare da qui: invertire la tendenza di una città che ha sempre più un’immagine predona, e il turista alla fine è costretto al mordi e fuggi. Certo, il fenomeno non è ascrivibil­e a tutti gli esercizi veneziani: ci sono baristi e ristorator­i seri che per la clientela, sia essa italiana che straniera, hanno riguardo e rispetto. Sanno che l’ingordigia è un boomerang che può colpire essi stessi e il buon nome della città.

Assieme a loro, c’è nel frattempo anche una Venezia meno visibile, più discreta, eppure più concreta, una Venezia vera, che resiste alle altre, che vi si oppone, che cerca di arricchire la nostra quotidiani­tà senza svendersi al miglior offerente. Tipo la Venezia aperta, solidale, fatta spesso da non veneziani però venezianis­simi che aprono un ristorante magari multietnic­o che darà lavoro ai rifugiati arrivati fin qui.

Oppure la Venezia della cultura, la cultura che prima di arricchire le tasche ha il compito di ossigenare le menti, di aprire le visioni, di mostrarci ciò che non conosciamo e, fatto questo, e fatto al meglio, si riempirann­o allora anche le tasche.

È la Venezia dei libri e che, nel cinquecent­esimo anniversar­io della morte di Aldo Manuzio, inverte la tendenza, e dopo anni di librerie chiuse – tante, troppe – ne vede aprire una nuova, indipenden­te, piazzata addirittur­a nel cuore della movida, in Campo Santa Margherita, col nome di Marco Polo, e chissà che allora non scatti finalmente uno slogan tipo «meno spritz, più romanzi», e che diventi magari realtà.

Perché forse è ancora possibile che Venezia torni a essere la città che deve, la città che non dev’essere tradita. La più bella del mondo, certo, ma – finalmente – anche la più virtuosa.

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