Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Accompagnò l’amica alla «dolce morte» in Svizzera: assolto
Storica sentenza a Vicenza. L’uomo, un ex portiere, rischiava 14 anni. Il nodo eredità
VICENZA Non fu suicidio assistito. E non puntava all’eredità. Il tribunale ha assolto il portiere d’hotel di Chiavari che accompagnò a morire in una clinica Svizzera la benestante amica vicentina Oriella Cazzanello.
VICENZA «Due anni da incubo, in cui sono passato su giornali nazionali ed esteri per il colpevole, per quello che è andato a far morire l’amica vicentina in Svizzera, senza per giunta incassarne poi l’eredità».
Due anni «dolorosi» per Angelo Tedde che si sono dissolti in un sorriso quando il giudice di Vicenza Massimo Gerace, al termine del processo con rito abbreviato e dopo due ore di camera di consiglio, ha pronunciato la sentenza di assoluzione piena perché il fatto non sussiste.
Accusato di istigazione al suicidio, l’ex portiere di notte di un albergo di Chiavari rischiava fino a dodici anni di carcere. Il pm Gianni Pipeschi aveva chiesto tre anni e quattro mesi per il padre di famiglia che ha accompagnato nel suo ultimo viaggio Oriella Cazzanello, la benestante 85enne di Arzignano morta in Svizzera il 30 gennaio 2014, con la dolce morte. Perché, da codice penale, stando al sostituto procuratore, per compiere istigazione o aiuto al suicidio basta anche solo «agevolarne in qualsiasi modo l’esecuzione». E quel viaggio fino alla clinica dell’associazione Life Circle per la pubblica accusa era sufficiente.
Tedde aveva sempre respinto le accuse: «Oriella ci sarebbe andata comunque in Svizzera, per il suicidio assistito. Anche senza di me». E ieri lo ha ribadito: «Che ci faccio qui? Sono innocente. Ho fatto il diavolo a quattro per farle cambiare quella decisione maturata da tempo, colpa di vecchiaia, malesseri e solitudine – ha chiarito Tedde – ma la mia determinazione era niente in confronto alla sua. L’ho accompagnata a Basilea per provarci fino all’ultimo, ma ho fallito». Ed è rimasto fino a quando la vicentina ha effettuato l’iniezione letale. L’ex portiere – «Ho anche perso il lavoro» fa sapere – l’aveva accompagnata nella clinica elvetica una prima volta già nel dicembre 2013 «ma quella volta l’avevo convinta a tornare a casa». Non fu così un mese dopo. Gli avvocati di Tedde, Raimondo Romano e Matteo Cereghino, che avevano sollecitato l’archiviazione dell’inchiesta aperta dopo la denuncia dei famigliari della pensionata, sono soddisfatti: «È stata riconosciuta la volontà autonoma della donna a suicidarsi: il nostro cliente le ha solo dato un passaggio cercando di farla desistere. Ci sono profili di incostituzionalità».
Per Tedde è un ritorno alla normalità: «Ora ricomincio a vivere, la giustizia arriva sempre alla verità. L’eredità? Non ho voluto un euro prima che tutto si chiarisse». La vicentina gli aveva infatti lasciato circa 800mila euro (parte di un’eredità da 5 milioni spartiti tra familiari ed enti). I parenti avevano chiesto un risarcimento danni a Tedde, sostenendo che la pensionata godeva di buona salute. «Attendiamo le motivazioni ma credo sia passata la tesi che il suicidio sia un atto legittimo. E se è tutto lecito, consigliamolo agli amici» attacca il loro avvocato, Claudia Longhi.
«Le richieste di essere aiutati a morire vanno decodificate – commenta Corrado Viafora, professore di Bioetica all’Università di Padova - occorre decifrarne i motivi per capire se il desiderio sia autentico o indotto, magari dal sentirsi di peso. Con il rischio che il diritto di morire non diventi un dovere di morire».
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