Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Procreazione assistita e tangenti «Così abbiamo saltato le liste»
Processo a Cetera, le pazienti: «Duemila euro o avremmo aspettato due anni»
BELLUNO «Per la fecondazione assistita mi prospettò una lista d’attesa pubblica di due anni. Poi però il dottore parlava di un’altra lista privata e a pagamento, limitata a due mesi di pazienza». É proseguito ieri il processo all’ex primario di Ginecologia dell’ospedale di Pieve di Cadore, il padovano Carlo Cetera, accusato di aver preso tangenti per circa 34 mila euro da 23 coppie accondiscendenti, che così potevano saltare la lista d’attesa, danneggiando però gli altri pazienti in agenda. Sul ginecologo grava anche l’accusa di corruzione: oltre a chiedere denaro a coppie che avrebbero fatto di tutto pur di avere un figlio (ecco la concussione), lo specialista accettava e riceveva soldi dal responsabile della «Sismer spa», Luca Gianaroli. In cambio Cetera doveva «spingere» per ottenere il rinnovo delle convenzioni della «Sismer» con l’Usl’1 di Belluno. Lo stesso Gianaroli deve rispondere di corruzione, per aver convinto il camice bianco a spendere appunto una buona parola in favore della spa, dietro corrispettivi per presunte attività di training e consulenza in materia di procreazione assistita.
Cetera avrebbe dunque percepito dal legale rappresentante della «Sismer» circa 72 mila euro tra il 2003 e il 2011. Ieri hanno parlato al collegio di giudici (Antonella Coniglio presidente, Cristina Cittolin e Vincenzo Sgubi a latere) le coppie che si erano rivolte al dottor Cetera per riuscire ad avere un figlio attraverso la fecondazione assistita. Ne è emerso un quadro sconcertante. Tutti i testimoni hanno riferito di aver sempre considerato il ginecologo un grande professionista e mai si sarebbero immaginati che il denaro che lui chiedeva e che si faceva consegnare, una volta al bar di fronte alla sede amministrativa dell’Usl, un’altra volta al parcheggio del Despar di fronte all’ospedale, un’altra ancora al casello autostradale, fossero soldi non «dovuti». Pazienti e mariti hanno riferito ai giudici che la vicenda legata al Cento di procreazione assistita li aveva toccati pesantemente a livello emotivo e che erano talmente coinvolti da non capire se quel denaro fosse da consegnare o meno.
«Ci raccontava che serviva per pagare i cicli di terapia alla società di Bologna e quindi pagavamo», ha raccontato un uomo la cui moglie desiderava tanto avere un figlio. «Col senno di poi abbiamo ragionato e allora ci siamo rivolti all’Usl e alla Procura», ha concluso.