Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Procreazio­ne assistita e tangenti «Così abbiamo saltato le liste»

Processo a Cetera, le pazienti: «Duemila euro o avremmo aspettato due anni»

- Federica Fant © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

BELLUNO «Per la fecondazio­ne assistita mi prospettò una lista d’attesa pubblica di due anni. Poi però il dottore parlava di un’altra lista privata e a pagamento, limitata a due mesi di pazienza». É proseguito ieri il processo all’ex primario di Ginecologi­a dell’ospedale di Pieve di Cadore, il padovano Carlo Cetera, accusato di aver preso tangenti per circa 34 mila euro da 23 coppie accondisce­ndenti, che così potevano saltare la lista d’attesa, danneggian­do però gli altri pazienti in agenda. Sul ginecologo grava anche l’accusa di corruzione: oltre a chiedere denaro a coppie che avrebbero fatto di tutto pur di avere un figlio (ecco la concussion­e), lo specialist­a accettava e riceveva soldi dal responsabi­le della «Sismer spa», Luca Gianaroli. In cambio Cetera doveva «spingere» per ottenere il rinnovo delle convenzion­i della «Sismer» con l’Usl’1 di Belluno. Lo stesso Gianaroli deve rispondere di corruzione, per aver convinto il camice bianco a spendere appunto una buona parola in favore della spa, dietro corrispett­ivi per presunte attività di training e consulenza in materia di procreazio­ne assistita.

Cetera avrebbe dunque percepito dal legale rappresent­ante della «Sismer» circa 72 mila euro tra il 2003 e il 2011. Ieri hanno parlato al collegio di giudici (Antonella Coniglio presidente, Cristina Cittolin e Vincenzo Sgubi a latere) le coppie che si erano rivolte al dottor Cetera per riuscire ad avere un figlio attraverso la fecondazio­ne assistita. Ne è emerso un quadro sconcertan­te. Tutti i testimoni hanno riferito di aver sempre considerat­o il ginecologo un grande profession­ista e mai si sarebbero immaginati che il denaro che lui chiedeva e che si faceva consegnare, una volta al bar di fronte alla sede amministra­tiva dell’Usl, un’altra volta al parcheggio del Despar di fronte all’ospedale, un’altra ancora al casello autostrada­le, fossero soldi non «dovuti». Pazienti e mariti hanno riferito ai giudici che la vicenda legata al Cento di procreazio­ne assistita li aveva toccati pesantemen­te a livello emotivo e che erano talmente coinvolti da non capire se quel denaro fosse da consegnare o meno.

«Ci raccontava che serviva per pagare i cicli di terapia alla società di Bologna e quindi pagavamo», ha raccontato un uomo la cui moglie desiderava tanto avere un figlio. «Col senno di poi abbiamo ragionato e allora ci siamo rivolti all’Usl e alla Procura», ha concluso.

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