Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Barovier: «Disegnava sempre era un vulcano di creatività»

Il curatore: nelle sue opere la gioia per la fine della guerra

- Ve.Tu. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«U n vulcano in continua eruzione. Qualsiasi immagine vedesse la disegnava e la interpreta­va, trasforman­dola in qualcosa di suo, originale e nuovo, creando un’opera d’arte». Definisce Fulvio Bianconi così Marino Barovier, curatore della mostra veneziana dedicata al designer che per molti anni ha collaborat­o con Paolo Venini e la famosa fornace muranese. Per Barovier, studioso del vetro, si tratta della quarta rassegna del ciclo dedicato alla storia della Venini nell’ambito del programma de «Le Stanze del Vetro».

È vera la leggenda che narra di come Fulvio Bianconi riuscisse a disegnare proprio ovunque e in qualsiasi momento?

«Certo. Sua madre deve averlo partorito con la matita in mano. Persino sui biglietti del vaporetto disegnava, qualsiasi pezzo di carta andava bene».

Il nome di Bianconi alla Venini è indelebilm­ente legato ai «fazzoletti», emblema nel mondo per un mito che non sembra tramontare. Perché hanno avuto un tale successo?

«Perché sono morbidi, fluidi, non sono mai uguali, hanno questa libertà di forma che li rende speciali e unici. E poi il colore. Il tessuto vitreo va dal classico zanfirico (filigrana) veneziano agli incamiciat­i bicolore che creano delle cromie dalle varianti infinite, poiché con la soffiatura i colori si mischiano creando nuance e mélange inusuali. Inoltre va detto che i fazzoletti sono tuttora attualissi­mi, sono dei bei centrotavo­la, ancora molto ambiti come regalo di nozze».

L’esplosione del colore nei lavori di Bianconi coincide con quello spirito di boom economico, di speranze e di rinascita dell’Italia che ha caratteriz­zato gli anni Cinquanta?

«Certamente. Bianconi è l’uomo del colore, adoperato a volte anche in maniera sfacciata, colore che esprime e sintetizza la gioia per la fine della guerra».

Nel 1948 Venini partecipò alla Biennale portando al Padiglione Venezia la serie delle giocose fi- gurine della Commedia dell’Arte create da Bianconi. Quello delle figurine è un altro affascinan­te capitolo della storia di questa fortunata collaboraz­ione.

«Paolo Venini pensò alla Commedia dell’Arte in un periodo in cui si andava riesumando il teatro popolare. Quello che rende le figurine di Bianconi superiori rispetto a quelle che anche le altre vetrerie facevano in quel tempo è in parte la tecnica – paste vitree dai colori pieni e opachi – ma soprattutt­o il movimento plastico e la dinamicità, la gestualità. Questo vale anche per le figurine regionali, “inventache te” nel 1950 per un tour americano e pensate per essere apprezzate in terre ricche di emigrati». Bianconi è stato anche pittore. «Sì, la sua più grande aspirazion­e era quella di riuscire ad essere un artista vero, con la “A” maiuscola. Sebbene abbia realizzato una quantità incredibil­e di quadri e frequentas­se gli ambienti delle gallerie milanesi, non è però mai riuscito a sfondare come pittore».

Lei sta curando tutta la serie di mostre dedicate alla vetreria Venini per «Le Stanze del Vetro», quale sarà la prossima?

«Il titolo è «Paolo Venini e la sua fornace», in programma nel settembre 2016. Sarà una mostra dedicata alle opere realizzate per la Venini dal 1930 al 1959, anno di morte di Paolo Venini, con le creazioni di Tyra Lundgren, Giò Ponti, Massimo Vignelli, Riccardo Licata, Tobia Scarpa». Sono mostre molto impegnativ­e… «È possibile realizzarl­e grazie all’inaspettat­o ritrovamen­to dell’intero archivio della produzione della Venini, che si pensava perduto. Comunque a guidarci è la passione e il piacere di far vedere cose belle».

Storie Ogni momento con la matita in mano Disegnava sui biglietti del vaporetto Eclettico Voleva essere un vero artista: ha realizzato un grande numero di quadri

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Marino Barovier, curatore della mostra dedicata a Bianconi

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