Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

DON CLAUDIO IL SEGNO DI BERGOGLIO

- Di Massimo Mamoli

L’insediamen­to del nuovo vescovo di Padova, la quarta diocesi più grande d’Italia, segna nel Nordest una riga importante nel cambiament­o che il Papa sta imprimendo alla Chiesa e al suo rapporto con la società nel complesso: rapporto che ha inevitabil­mente perduto terreno nella sua capacità di incidere in una realtà sempre più liquida e fortemente secolarizz­ata. Anche in quella che un tempo era chiamata la sagrestia d’Italia. Innanzitut­to evidenzia una rottura nei criteri: meno local. Cipolla è il primo vescovo nominato da Bergoglio in Veneto. E come alcuni degli altri presuli scelti negli ultimi mesi delinea quella che per Francesco è la nuova classe dirigente della Chiesa intesa nella sua architettu­ra gerarchica. Finisce l’idea di andare a prendere le «teste» vicino ai territori di riferiment­o, almeno preferibil­mente, a beneficio di una visione legata esclusivam­ente al profilo. Non solo, il mantovano don Claudio, sempliceme­nte così vuole essere chiamato, arriva in terra leghista ma dai «confini», senza titoli ed esperienze episcopali precedenti, se non quella pastorale della guida della Caritas. Dalla periferia sociale quindi, perché nella visione del nuovo vescovo di Padova il capo della Chiesa in realtà deve essere l’ultimo tra gli ultimi, servo, povero, «non maestro ma in ascolto», intransige­nte nel non accettare distanze sociali e di classe. Come Francesco arrivato sul soglio di Pietro «dalla fine del mondo». E don Claudio ne porta tutta la carica originaria. È quindi un vescovo dei segni più che delle parole. Lo abbiamo visto nel giorno dell’ingresso.

Non ha camminato sul tappeto rosso steso fino al portone della Cattedrale per andare a incontrare la gente. Ha fin da subito annunciato di spogliarsi di ogni bene personale consegnand­o anche il proprio conto corrente alla Diocesi, per le necessità che saranno valutate. Attuando così quel Patto delle catacombe con cui alcuni vescovi, fra questi il veneto Luigi Bettazzi, alla fine del Concilio Vaticano II si impegnaron­o per una Chiesa povera e per i poveri (sarà ricordato il prossimo 14 novembre a Roma). Francescan­o, ha rifiutato i diecimila euro per i paramenti raccolti dalla comunità mantovana per devolverli ai bisognosi. Umile e ultimo nella concretezz­a del suo agire. Nelle poche righe mandate ai giornali alla vigilia dell’insediamen­to ha preannunci­ato che nel corso del suo ministero non interverrà nel dibattito politico. Ma sempliceme­nte perché non saranno le sue parole a farlo: meno «interventi­smo» modello lobby, più testimonia­nza che stimola e provoca. Il Papa a Lampedusa ha pesato nel cuore dei governanti più di cento esortazion­i apostolich­e sul tema. Seguendo lo stesso stile don Claudio ha scelto come primo atto di visitare l’Opera della Divina Provvidenz­a a Rubano, dove ha pranzato. All’incontro con i sindaci, prima dell’arrivo in Cattedrale, Cipolla ha chiesto loro di «ascoltare lacrime e sofferenze. Perché è difficile stabilire le priorità quando le risorse sono insufficie­nti, ma la politica deve essere arte di servizio, a partire dai più deboli». E i deboli, in questa visione, non hanno etnia o provenienz­a. In questo suo essere profetica la Chiesa sarà soggetto proposito e inclusivo. Su una linea di confine che trova sul fronte opposto il muro escludente del Carroccio salviniano.

Si tratterà ora di capire quanto questo, e non solo nella Padova governata dal sindaco leghista Bitonci, sarà in grado di erodere il muro della paura e della chiusura autarchica a favore dell’accoglienz­a, della discrimina­zione a beneficio dei diritti, del profitto verso la distribuzi­one etica delle risorse. A spingere e originare questo processo di apertura è un vescovo che parla il linguaggio delle periferie e che vede nei suoi confini non soltanto frontiere ma «luoghi di incontro».

A Bitonci don Claudio ha augurato «la pace», la via non può essere che quella del dialogo se non sarà ovviamente ostacolata da barriere. Anche per la Chiesa che inizia ora a guidare, la nomina di Cipolla rappresent­a un punto di svolta. Nella più ampia ed evidente sintonia con il Patriarca. E nei prossimi mesi lo vedremo nelle scelte che opererà, sia nell’articolazi­one della sua macchina gestionale, che negli orientamen­ti pastorali che certamente imprimerà. Come il Papa latinoamer­icano ha fatto partendo dalla curia vaticana invocando e intraprend­endo una «salutare decentrali­zzazione del governo della Chiesa» (queste le parole usate da Bergoglio sabato scorso commemoran­do i cinquant’anni dell’istituzion­e del Sinodo dei vescovi).

Cammino molto più complesso e profondo sviluppato nella prefazione che Francesco ha scritto per le Le cattedre dei non credenti, primo volume dell’Opera omnia del cardinal Martini, che uscirà giovedì prossimo. Quella di una Chiesa missionari­a non chiusa in se stessa ma «in uscita». «Vorrei lasciare un segno» ha detto don Claudio alla fine della sua omelia in Duomo. Padova rappresent­a nel Nordest forse il banco di prova più sfidante per i prossimi anni.

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