Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Sindaci, non basta il carisma per governare una città complessa

- Umberto Curi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Si direbbe che è il tempo dei sindaci. Del sindaco di Verona, Flavio Tosi, il quale ha spiazzato un po’ tutti, manifestan­do l’inclinazio­ne a convergere in una futura alleanza con Renzi, in vista delle prossime elezioni politiche. Del sindaco di Venezia, assurto agli onori della cronaca, per aver dimostrato di non cogliere alcuna differenza fra un quadro di Klimt e una squadra di basket, in base al criterio di quanto entrambi possono valere in un’operazione di compravend­ita. Del sindaco di Padova, infaticabi­le nell’inventare ogni giorno qualche pretesto in più per confermare la sua idea di città inospitale e non accoglient­e. Per non parlare di Marino. Anzi, per parlare proprio di Marino. Nel frastuono suscitato dalle dimissioni dell’inquilino del Campidogli­o, è stato totalmente ignorato l’unico piano di analisi che può consentire di capire che cosa sia veramente accaduto, e quali insegnamen­ti se ne possono trarre anche per quanto riguarda i primi cittadini del Veneto. Per dirla in estrema sintesi, si dovrebbe formulare quello che può sembrare un paradosso: Ignazio Marino ha fatto concretame­nte un non trascurabi­le numero di buone cose (anche se meno di quelle da lui rivendicat­e) ed è stato un cattivo sindaco. Cancellare una delle due componenti di questa affermazio­ne, solo allo scopo di evitare quella che sembra una contraddiz­ione logica, è una scorciatoi­a che non porta in realtà da nessuna parte. Mentre se si vuole capire fino in fondo la vicenda romana, bisogna avere il coraggio di sfidare ciò che sembrerebb­e imposto dal buon senso, coniugando – anziché contrappon­endo – la molteplici­tà delle azioni positive con la complessiv­a inadeguate­zza del lavoro fatto. Quanto è accaduto a Roma conferma infatti una verità di grande rilievo, tuttora ignorata o fraintesa, quale è la pratica impossibil­ità di «governare» una realtà complessa e stratifica­ta, quale è quella di una medio-grande (e più ancora di una metropoli), servendosi degli strumenti tradiziona­li della politica. Se ci si limita soltanto a questi, si potranno mettere in fila, nella migliore delle ipotesi, una serie di provvedime­nti positivi, senza tuttavia essere minimament­e in grado di modificare l’andamento reale di processi la cui morfologia, e le cui dinamiche, restano sostanzial­mente intangibil­i, o sono comunque sottratti alle limitate capacità di intervento di una figura, quale è il sindaco. Il caso di Roma è, da questo punto di vista, emblematic­o, ma non unico. Nella capitale, come e più che altrove, la crescita della complessit­à sociale, la proliferaz­ione di agglomerat­i di interessi, non sempre né tutti leciti, la pluralità di soggetti in grado di gestire quote di potere effettivo, rendono puramente illusoria ogni pretesa di “governo” centralizz­ato e visibile, in favore di un assetto in cui le decisioni sfuggono alle maglie strette della politica e scaturisco­no dal sopravvent­o di soggettivi­tà informali, che restano in larga misura occulte, o che comunque non «rispondono» a chicchessi­a del potere effettivam­ente esercitato. Di qui il diffonders­i e il perpetuars­i di una situazione nella quale l’illegalità non è il frutto della devianza settoriale e circoscrit­ta di alcune individual­ità isolate, ma coincide piuttosto col modo di essere e di funzionare del sistema in quanto tale. La parabola di Marino, salito al Campidogli­o con l’intento programmat­ico di moralizzar­e la vita politica romana, e poi travolto da un’ondata moralizzat­rice, è paradigmat­ica dello scacco a cui è intrinseca­mente esposta una politica che intenda misurarsi con una realtà economico-sociale che sfugge ad ogni possibilit­à di controllo o di condiziona­mento esogeno. Di qui un’implicazio­ne decisiva: per essere all’altezza dei problemi reali di una città moderna, una proposta politica non può esaurirsi nella figura di un candidato più o meno provvisto di carisma, ma dovrebbe includere principalm­ente un progetto dettagliat­o, capace di restituire alla politica una concreta possibilit­à di incidenza reale. Altrimenti, sarà inevitabil­e che, chiunque sia, anche il prossimo sindaco di Milano e Roma o delle città venete, presto o tardi finisca per condivider­e la sorte del povero Marino.

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