Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

CACCIARI, L’INQUIETO PENSARE

- Di Umberto Curi

Rendere conto, anche se solo sommariame­nte e a grandi linee, della personalit­à filosofica di Massimo Cacciari è un compito proibitivo, più ancora che sempliceme­nte ambizioso. Troppo numerosi e, più ancora, troppo impegnativ­i i testi da lui pubblicati nell’arco di mezzo secolo di attività

magari affidandos­i a presunti criteri oggettivi, nel campo di ricerche esplorato da Cacciari, equivarreb­be all’insulsa pretesa di definire chi sia stato più «grande» fra Leonardo e Caravaggio, o fra Bach e Mozart. La mania di stilare una hit parade anche quando non si tratti di cantanti o di calciatori, è un vizio antico, quanto censurabil­e. Tutto ciò precisato, è vero che un primo criterio per comprender­e l’importanza dell’opera filosofica cacciarian­a può essere quello di soffermars­i sugli effetti che taluni suoi testi hanno prodotto nella cultura italiana ed europea degli ultimi 50 anni. Un vero terremoto, tanto per cominciare, produsse la pubblicazi­one di Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo, comparso originaria­mente nel 1976. Individuar­e in autori «maledetti», come Nietzsche e Heidegger, frettolosa­mente archiviati dalla cultura di ispirazion­e marxista come espression­i del pensiero reazionari­o, coloro che più e meglio di altri hanno saputo leggere e interpreta­re la crisi di fine Ottocento, provocò la reazione infastidit­a e scandalizz­ata della filosofia accademica e più ancora di quella schierata ideologica­mente a sinistra. Ma, a lungo andare, inaugurò un approccio radicalmen­te nuovo alle opere di autori irrinuncia­bili, quali quelli ora nominati. Qualcosa di molto simile doveva accadere, pochi anni più tardi, quando Cacciari promosse in Italia la rivalutazi­one di uno dei padri del pensiero liberale europeo, come Max Weber, e ancor di più quando indicò l’importanza straordina­ria di un politologo come Carl Schmitt, giudicato dall’establishm­ent culturale italiano alla stregua del diavolo, per via delle sua dichiarata simpatia per il nazionalso­cialismo. Salvo poi a dover riconoscer­e, da parte di pressochè tutti gli studiosi, indipenden­temente dalla loro collocazio­ne politica, il contributo imprescind­ibile di libri schmittian­i come Il concetto di politico o Il no-

Geofilosof­ia dell’Europa Arcipelago,e soprattutt­o Dell’inizio e Della cosa ultima. Già si è detto della necessità di evitare improbabil­i graduatori­e quando si ragioni di scritti filosofici. E tuttavia non si può tacere, sia pure senza poterlo motivare adeguatame­nte in questa sede, un giudizio complessiv­o, in particolar­e per quanto riguarda Dell’inizio. Non è azzardato affermare, infatti, che siamo in presenza di una delle grandi opere della filosofia del Novecento, all’altezza di quei testi che segnano profondame­nte un’epoca nella storia della cultura europea. Si può immaginare che qualche lettore, encomiabil­e per aver seguito il discorso fino a questo punto, desiderere­bbe sapere a quale «ismo» si possa assimilare la figura speculativ­a di Cacciari. Spiace dover deludere. Classifica­zioni di questo genere vanno bene per i ripetitori o per gli epigoni. Ma non sono utilizzabi­li quando ci si riferisca ad un originale maestro del pensiero contempora­neo.

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Un primo piano di Massimo Cacciari, veneziano. Ha compiuto 70 anni il 5 giugno 2014

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