Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il capo della Pg Cappadona avvertì Galan: «Occhio, puntano alla casa»
PADOVA «Occhio che puntano alla casa». Quando nella primavera del 2013 il carabiniere Franco Cappadona dice queste parole a qualcuno dell’entourage di Giancarlo Galan, non sa che la Guardia di Finanza di Venezia lo sta ascoltando (come del resto sta ascoltando imprenditori, politici faccendieri e sedicenti agenti dei Servizi che finiranno poi agli arresti il 4 giugno 2014). Gli investigatori capiscono subito che il carabiniere, a capo della sezione di polizia giudiziaria della procura di Padova, sta dando una preziosa informazione che punta a far conoscere a Galan lo stato delle indagini che lo riguardano, e che porteranno un anno dopo alla decapitazione della «cupola» del Mose, ma decidono di mettere da parte questa informazione e di dedicare l’attenzione al filone principale dell’inchiesta. Oggi però il fascicolo che contiene quella frase è diventato importante. Perchè Cappadona e l’imprenditore Mauro Bertani sono insieme a processo a diverso titolo per tentata corruzione e tentata concussione, per una mazzetta da 300mila euro (mai consegnata né intascata dall’allora direttore dell’ Arpav, l’avvocato Andrea Drago) con cui i due avevano tentato di oliare il trasferimento della sede Arpav al Net Center. Quell’informazione data a un amico di Galan è vera: gli investigatori stavano effettivamente facendo accertamenti sulla casa dell’ex Presidente Galan, tanto che Villa Rodella sarà il perno attorno al quale ruotavano le tangenti per il Mose e che ora è stata sequestrata. Quelle frasi di Cappadona non sono notizie penalmente rilevanti, ma nell’ottica del magistrato padovano oggi sono utili per inquadrare l’imputato come una persona capace di catalizzare informazioni e notizie per gestirle, a detta degli investigatori, a suo piacimento. (r.pol.)