Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Amleto Sartori, la maschera del mondo

A Padova una mostra celebra il pittore e scultore che ha fatto rinascere una tradizione

- Barbara Codogno © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Si apre oggi al pubblico la mostra «Amleto Sartori scultore» allestita in Galleria Civica Cavour a Padova e salutata come uno degli eventi di punta della città. Una mostra che celebra i cent’anni dalla nascita del celebre scultore pittore e poeta, conosciuto in tutto il mondo per aver reinventat­o la maschera teatrale. Un nome, quello della famiglia d’arte Sartori che, a partire dal capostipit­e Amleto e grazie al figlio Donato - testimone, erede visionario e vero prosecutor­e dell’arte paterna nel contempora­neo - si è legato ad altri alti nomi della cultura. Dal premio Nobel Dario Fo, affezionat­issimo al Centro Maschere e Strutture Gestuali - fondato ad Abano Terme da Donato Sartori e dalla moglie, l’architetto Paola Piizzi - in virtù del grande amore di Fo per la maschera. Ma anche al grande mimo Jacques Lecoq o all’attore Ferruccio Soleri che sposò perfettame­nte la ricerca filologica condotta da Sartori sulla figura di Arlecchino, maschera provenient­e dalla mitologia scandinava, non certo gioiosa e giocosa. È opportuno iniziare dall’immagine del volto del dio sorridente ed enigmatico che la tragedia greca porta sulla scena: la maschera, termine dall’etimologia ancora incerta, dopo Carlo Goldoni a lungo dimenticat­a, torna sulla scena internazio­nale proprio grazie ad Amleto Sartori. Il merito andò anche alla lunga collaboraz­ione tra i Sartori ed il Piccolo Teatro di Milano di Strehler: fu lì che nacque la maschera neutra in cartapesta realizzata da Amleto che andò a sostituire l’usuale maschera dipinta sul volto.

Le maschere di cartapesta furono quindi scalzate da quelle in cuoio, rendendo i Sartori famosi in tutto il mondo. I Sartori, perché come racconta Donato: «Noi, che eravamo di origine ebraica, ci eravamo nascosti in campagna dove vivevo libero tra sole e campi. Subito dopo la guerra non ne volevo sapere di andare a scuola e mio padre allora mi prese con sé». Un sodalizio d’arte e d’amore quello tra padre e figlio, purtroppo bruscament­e interrotto dalla prematura morte di Amleto, ad appena 46 anni. Pochissimi se si pensa alla sua straordina­ria produzione artistica. La mostra «Amleto Sartori scultore» ( fino al 17 gennaio 2016, info: www.sartorimas­kmuseum.it), allestita a Padova e curata da Virginia Baradel con Donato, Sara Sartori e Paola Piizzi, vuole allora individuar­e nella creatività di Amleto scultore quegli antefatti che lo portarono alla creazione della maschera. Un’indagine condotta con metodo rigorosame­nte filologico che ci racconta e ci svela il dietro le quinte della storia. Laddove, tra gli altri, un precoce mascherone in legno dal titolo «Maschera di uomo urlante» dalla struggente forza espressiva si mostra davvero come l’antefatto della ricerca dell’artista sulla maschera.

In mostra i personaggi della Commedia dell’Arte, i tanti temi mitologici affiancati dai bozzetti per opere sacre. E le sculture, alcune di grazia commovente. A partire dal lavoro di Amleto il concetto di maschera è stato allargato dal figlio che col mascherame­nto urbano riesce a far dialogare la maschera col linguaggio del contempora­neo. Donato Sartori e Paola Piizzi hanno realizzato installazi­oni urbane in tutto il mondo. Hanno «mascherato», strade, castelli, piazze, fino a stravolger­e completame­nte la dimensione urbana e anche la retorica museale, creando un luogo in cui il pubblico non è più passivo.

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