Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Pedrollo: «Il piano? Sembra fatto apposta per noi, ora si deve tornare a investire»
VERONA «Adesso tocca a noi». Giulio Pedrollo, vicepresidente nazionale di Confindustria con delega alla Politica industriale, sa perfettamente che il piano Italia 4.0 è una sfida rivolta in primo luogo alle imprese: «Non ci sono dubbi, è il momento di tornare a investire». L’iperammortamento al 250 per cento sulle tecnologie digitali? L’aumento del bonus ricerca? In generale, i 13 miliardi di incentivi e agevolazioni fiscali per l’ammodernamento del sistema produttivo? Tutte misure chieste a gran voce proprio dal mondo imprenditoriale. Che adesso non può tirarsi indietro. «Perché in gioco è la competitività dell’intero Paese».
Il Nordest delle piccole e medie aziende, però, è il territorio dove Italia 4.0 potrebbe avere maggiore impatto.
«Sicuro. Se l’information technology rende i processi più flessibili, i prodotti maggiormente personalizzati, i rapporti con la clientela più diretti, allora Italia 4.0 sembra un piano fatto apposta per il Nordest».
Peccato che il Veneto rischiasse di restare escluso fin dal primo passaggio: l’assegnazione dei competence center, i luoghi di incontro tra università e imprese. Lei, Pedrollo, è nella cabina di regia voluta dal governo per il varo del piano: come è andata veramente?
«La mattina di mercoledì 21 settembre, poche ore prima che Matteo Renzi presentasse il piano a Milano, erano presenti ben sei ministri: oltre a Carlo Calenda dello Sviluppo economico e a Stefania Giannini dell’Istruzione e ricerca, al tavolo sedevano Pier Carlo Padoan dell’Economia, Giuliano Poletti del Lavoro, Maurizio Martina dell’Agricoltura e Gian Luca Galletti dell’Ambiente. Segno di un approccio trasversale e multidisciplinare. A un certo punto Calenda ha preso in mano la situazione e ha tagliato corto: «Visto che tutti gli atenei si sono messi insieme, il Veneto avrà il suo competence center». Ma in realtà, per una volta, è tutto il Veneto che ha fatto squadra.
Conferma, dunque, che la carta vincente è stata la costituzione di una rete fra le università?
«Certo. Calenda l’ha sottolineato durante l’appuntamento milanese e lo ha ripetuto nei giorni scorsi in occasione un incontro in Confindustria. Di più: il modello aggregativo proposto dagli atenei veneti, oggi viene portato come esempio virtuoso».
Torniamo a Italia 4.0: è proprio sicuro che gli imprenditori ricominceranno a investire?
«Il cosiddetto iperammortamento è molto conveniente. C’è solo da augurarsi che il governo lo inserisca effettivamente già nella prossima legge di Bilancio, così se ne vedranno i benefici fin dai primi mesi del 2017. Ovviamente noi dovremo correre per entrare nel merito, per esempio bisognerà stilare al più presto la lista delle tecnologie rientranti negli scenari di industria 4.0 e quindi soggette alle agevolazioni. Il dato evidente è che in Germania, dal 2011 a oggi, cioè da quando il governo ha lanciato il suo programma di industria 4.0, la produttività è aumentata del 50 per cento. Se qualcosa del genere si ripetesse in Italia saremmo a cavallo».
Processi più efficienti e tecnologicizzati dovrebbero servire principalmente per aumentare il valore aggiunto e il tasso di innovazione dei prodotti.
«Sono due facce della stessa medaglia. La quarta rivoluzione industriale è a monte, nel modo di produrre, e a valle, nei nuovi prodotti «intelligenti», dagli elettrodomestici che parlano ai vestiti che si adattano autonomamente al clima. Migliaia di prodotti andranno totalmente ripensati. Di conseguenza saranno richieste le competenze necessarie».
In questo scenario, potrebbero rientrare in Italia anche produzioni delocalizzate all’estero?
«Sì, penso che potrebbero anche moltiplicarsi i casi di reshoring. Con l’aumento della produttività e della competitività, il manifatturiero italiano tornerà a ruggire. Se poi si abbasseranno pure le tasse...»