Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Don Pistolato: «Tra emergenze e nuove risposte»
L’analisi del vicario Patriarcato di Venezia: «Si è ampliata l’età di chi si impegna nel volontariato»
La risorsa «longevi» Le persone più anziane sono risorsa preziosa soprattutto per ll’assistenza ammalati
«L’esercito di Dio», schiere di volontari che colorano di bianco il Veneto. Ma qualcosa sta cambiando. Effetto delle modificazioni demografiche che allungano non solo l’età media, ma anche la qualità di vita e quindi l’operatività di una fascia di popolazione sempre più larga. «E per fortuna che ci sono anche questi volontari più maturi. I giovani tendono più all’intervento mirato», commenta don Dino Pistolato, vicario del patriarca di Venezia Moraglia e direttore della Caritas di Venezia, l’uomo che meglio di tanti altri conosce a fondo l’universo dell’associazionismo regionale.
Il mondo dell’associazionismo sta cambiando al passo coi tempi?
«Certamente, e quindi rileviamo che spesso l’età media dei volontari si è alzata». Parliamo dei «longevi» «Chiamiamoli longevi. Alcuni settori dell’associazionismo richiedono una presenza continuativa. Il dato evidente è che funzionano di più degli interventi a spot. C’è un’intera fascia d’età, diciamo dai 20 ai 35 anni che fatica a legarsi al volontariato, più di un tempo. Il ritmo della vita è tale da assorbire molte energie ed è meno frequente che si metta in gioco il proprio tempo libero. Lo riscontriamo nel mondo dei servizi alla persona. Sui senza fissa dimora, minori stranieri non accompagnati, tossicodipendenti, serve un’attività di volontariato caratterizzata da una certa continuità, in modo che le relazioni personali si consolidino».
I giovani hanno nuove modalità di volontariato?
«I ventenni sono molto più consapevoli delle difficoltà lavorative, quindi si focalizzano prima sulla loro preparazione. Senza contare che in tanti, anche solo per un breve periodo, come l’Erasmus, lasciano l’Italia. Questo significa congelare alcuni rapporti, alcune relazioni rispetto alla comunità d’origine e a volte si perde un po’ il polso. Le fasce di età «meno giovani» si rendono disponibili a svolgere servizi di vario genere, penso all’assistenza agli ammalati. Ed è anche compatibile con attività legate a fasce orarie precise, come in casa di riposo. Almeno in questi casi si garantisce una continuità. Il volontariato giovanile è sempre più a spot. Non a caso cerchiamo di interessare i ragazzi proprio con questa modalità. Ad esempio a Venezia siamo arrivati alla sesta edizione di “72 ore a maniche in su”, una full immersion a sorpresa in cui i volontari offrono il loro tempo, 72 ore, appunto, in diversi contesti, dall’ambiente, alla tossicodipendenza, dai minori non accompagnati fino agli anziani senza sapere in quale di questi ambiti presteranno la loro opera. Siamo a 1000 volontari in tutta la provincia di Venezia. Esperienze come questa dovrebbero innescare il meccanismo della curiosità e la voglia di continuare. Restano i longevi, appunto, chi ha cominciato a 40 anni e a 70 continua, penso alle cuoche della nostra mensa dei poveri di Venezia. E per fortuna ci sono. Poi in altri contesti serve un’età diversa».
Ad esempio?
«I minori stranieri non accompagnati, i tossicodipendenti, gli ammalati e così via. In realtà penso anche agli anziani. Certo, l’aiuto di persone di poco più giovani è comunque un conforto, ma la visita di giovani famiglie con bambini è un toccasana ben maggiore. È nell’ordine delle cose, sarebbe bene si ricreasse una logica verticale con la compresenza di diverse fasce d’età».
Ne esce un quadro in evoluzione…
«Molte cose sono mutate, a partire dall’inquadramento normativo. Se in passato molto nasceva e cresceva in modo spontaneo, ora per poter attivare interventi più mirati richiesti dalle normative manca la formazione. Un passaggio imprescindibile. E con l’avvento della legge sul volontariato è necessario strutturarsi in modo consistente. Dalla creazione di una onlus ai servizi di segreteria».
Come procede l’associazionismo sul fronte dei migranti?
«Premesso che dovremmo passare da una visione assistenziale a quella di un rapporto paritetico di giovani che hanno gli stessi bisogni dei loro coetanei, per i giovani migranti vale quel che vale per i giovani italiani. Quanto siamo attrattivi per loro? O quanto espulsivi?
Un giovane ingegnere italiano mi ha detto, di recente “appena varcato il confine austriaco mi sento a casa”. Per tornare a rendere attrattivo un territorio serve anche il volontariato, perché se siamo capaci di essere generosi, riusciamo a sollevare la qualità dell’ambiente in cui tutti viviamo».
Con la legge sul volontariato la formazione diventa necessaria Migranti, una priorità su cui va modificata la visione assistenziale