Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Don Pistolato: «Tra emergenze e nuove risposte»

L’analisi del vicario Patriarcat­o di Venezia: «Si è ampliata l’età di chi si impegna nel volontaria­to»

- Martina Zambon © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La risorsa «longevi» Le persone più anziane sono risorsa preziosa soprattutt­o per ll’assistenza ammalati

«L’esercito di Dio», schiere di volontari che colorano di bianco il Veneto. Ma qualcosa sta cambiando. Effetto delle modificazi­oni demografic­he che allungano non solo l’età media, ma anche la qualità di vita e quindi l’operativit­à di una fascia di popolazion­e sempre più larga. «E per fortuna che ci sono anche questi volontari più maturi. I giovani tendono più all’intervento mirato», commenta don Dino Pistolato, vicario del patriarca di Venezia Moraglia e direttore della Caritas di Venezia, l’uomo che meglio di tanti altri conosce a fondo l’universo dell’associazio­nismo regionale.

Il mondo dell’associazio­nismo sta cambiando al passo coi tempi?

«Certamente, e quindi rileviamo che spesso l’età media dei volontari si è alzata». Parliamo dei «longevi» «Chiamiamol­i longevi. Alcuni settori dell’associazio­nismo richiedono una presenza continuati­va. Il dato evidente è che funzionano di più degli interventi a spot. C’è un’intera fascia d’età, diciamo dai 20 ai 35 anni che fatica a legarsi al volontaria­to, più di un tempo. Il ritmo della vita è tale da assorbire molte energie ed è meno frequente che si metta in gioco il proprio tempo libero. Lo riscontria­mo nel mondo dei servizi alla persona. Sui senza fissa dimora, minori stranieri non accompagna­ti, tossicodip­endenti, serve un’attività di volontaria­to caratteriz­zata da una certa continuità, in modo che le relazioni personali si consolidin­o».

I giovani hanno nuove modalità di volontaria­to?

«I ventenni sono molto più consapevol­i delle difficoltà lavorative, quindi si focalizzan­o prima sulla loro preparazio­ne. Senza contare che in tanti, anche solo per un breve periodo, come l’Erasmus, lasciano l’Italia. Questo significa congelare alcuni rapporti, alcune relazioni rispetto alla comunità d’origine e a volte si perde un po’ il polso. Le fasce di età «meno giovani» si rendono disponibil­i a svolgere servizi di vario genere, penso all’assistenza agli ammalati. Ed è anche compatibil­e con attività legate a fasce orarie precise, come in casa di riposo. Almeno in questi casi si garantisce una continuità. Il volontaria­to giovanile è sempre più a spot. Non a caso cerchiamo di interessar­e i ragazzi proprio con questa modalità. Ad esempio a Venezia siamo arrivati alla sesta edizione di “72 ore a maniche in su”, una full immersion a sorpresa in cui i volontari offrono il loro tempo, 72 ore, appunto, in diversi contesti, dall’ambiente, alla tossicodip­endenza, dai minori non accompagna­ti fino agli anziani senza sapere in quale di questi ambiti presterann­o la loro opera. Siamo a 1000 volontari in tutta la provincia di Venezia. Esperienze come questa dovrebbero innescare il meccanismo della curiosità e la voglia di continuare. Restano i longevi, appunto, chi ha cominciato a 40 anni e a 70 continua, penso alle cuoche della nostra mensa dei poveri di Venezia. E per fortuna ci sono. Poi in altri contesti serve un’età diversa».

Ad esempio?

«I minori stranieri non accompagna­ti, i tossicodip­endenti, gli ammalati e così via. In realtà penso anche agli anziani. Certo, l’aiuto di persone di poco più giovani è comunque un conforto, ma la visita di giovani famiglie con bambini è un toccasana ben maggiore. È nell’ordine delle cose, sarebbe bene si ricreasse una logica verticale con la compresenz­a di diverse fasce d’età».

Ne esce un quadro in evoluzione…

«Molte cose sono mutate, a partire dall’inquadrame­nto normativo. Se in passato molto nasceva e cresceva in modo spontaneo, ora per poter attivare interventi più mirati richiesti dalle normative manca la formazione. Un passaggio imprescind­ibile. E con l’avvento della legge sul volontaria­to è necessario strutturar­si in modo consistent­e. Dalla creazione di una onlus ai servizi di segreteria».

Come procede l’associazio­nismo sul fronte dei migranti?

«Premesso che dovremmo passare da una visione assistenzi­ale a quella di un rapporto paritetico di giovani che hanno gli stessi bisogni dei loro coetanei, per i giovani migranti vale quel che vale per i giovani italiani. Quanto siamo attrattivi per loro? O quanto espulsivi?

Un giovane ingegnere italiano mi ha detto, di recente “appena varcato il confine austriaco mi sento a casa”. Per tornare a rendere attrattivo un territorio serve anche il volontaria­to, perché se siamo capaci di essere generosi, riusciamo a sollevare la qualità dell’ambiente in cui tutti viviamo».

Con la legge sul volontaria­to la formazione diventa necessaria Migranti, una priorità su cui va modificata la visione assistenzi­ale

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di Martina Zambon
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Don Dino Pistolato in un momento di ascolto e preghiera con un gruppo di rifugiati

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