Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
L’ITALIA CHE (NON) CAMBIA
Siamo un paese senza classe dirigente e in preda a un malessere diffuso e inconcludente: alla maggior parte delle domande i più di noi rispondono irritati «vaff», senza perdere tempo a spiegarsi. Se le cose vanno così, se non ci sono attese, speranze, sogni, perché perdere tempo a fare progetti, a studiare scorciatoie, a inseguire soluzioni che non funzionano, non hanno mai funzionato. «Vaff» è semplice e inequivocabile: non ne vale la pena, non c’è impegno che tenga, né merito o competenza, bisogna solo che capiti, che ci tocchi, per il resto è meglio star fermi e aspettare; altro che riforme, disegni, cambiamenti, l’importante è che tocchi a noi, a me. Vale per tutti, a cominciare dalle élite, le quali sono al vertice per caso, senza «mandato» - e chi poi potrebbe darlo un mandato? , anch’esse precarie come il resto della società che si scopre finalmente solidale dicendo di no a tutto sviluppo, progresso, crescita, miglioramento o che so io - e di sì di nuovo a tutto - la rivoluzione o che altro sia purché dal presente, o dal reale, si riesca a stare lontani, indenni. Le nonne raccontavano sornione che le classi dirigenti nascevano sotto un cavolo e che i leader li concepivano gli dei, quando finalmente si erano stufati di non contare nulla. Il risultato di quest’ultimo referendum è inequivocabile, numerosi e maggioritari i più hanno scritto sulle loro schede binarie «vaff», mescolando tutte le insoddisfazioni e le rabbie del paese, tutti i no immaginati, e fregandosene di suggerire un’alternativa.
Tutti insieme, dalla Lega a qualunque frustrato di destra, alle vittime del protagonismo di Renzi, ai reduci del comunismo, fino ai militanti di Grillo. Non si vota per fare o scegliere che cosa fare, basta e avanza star fuori impotenti e furibondi, indignati e recalcitranti: il Paese non sa cosa vuole, tanto meno sa per chi lo vuole, e mai ha fatto i conti con le risorse, o pensato a come trovarle. I partiti, che sono nati prima di qualsiasi modernizzazione, non rappresentano che se stessi, o dei soggetti ideologici che nessuno riesce più a scovare, le identità sociali si sono appannate sino a svanire e insieme si sono sovrapposte sino a confondersi: chi sono i poveri in questa società di abbienti? chi i bisognosi nel trionfo del superfluo? Povero Renzi, ultimo allievo ripetente del prof. Bobbio nell’ostinarsi a distinguere la destra dalla sinistra; lui ci ha provato: lavoro ai giovani e qualche privilegio in meno agli occupati, più attenzione all’impresa che deve partire e meno garanzie a chi gode rendite di posizione, e se li è trovati uniti, tutti contro, il benessere conquistato non si tocca. L’Italia resta un piccolo paese medievale diviso per caste -certo non per classi- dove la storia, il movimento della storia, non ha ascolto e le cose debbono restare come sono per sempre, a cominciare dai monumenti che agiscono solo come vincoli, vere e proprie catene che inchiodano nella tradizione. Gli italiani sono questo, un popolo di conservatori benestanti, che solo in caso di bisogno -di fronte a una crisi che non sanno come affrontare- sono pronti a piegare la schiena succubi e servili, ma della modernità non ne vogliono in nessun caso sapere; sono abituati a campare sfruttando le glorie di famiglia e vorrebbero che di questo tutti nel mondo fossero loro grati; se poi chi comanda fa guai basta un niente a voltarsi rinnegandolo innocenti, quel che conta è tirare a campare. Perché poi da secoli ogni stagione qualcuno si illuda di cambiarne il carattere resta solo un mistero irrisolto; mentre invece è evidente che questo popolo privilegiato ha bisogno soltanto di una nuova cultura disponibile a confrontarsi col moderno e i suoi nuovi costumi, i suoi nuovi prodotti. Non si può restare fedeli al moralismo di massa, al perbenismo piccolo borghese, e vivere nell’economia di mercato, nelle relazioni post familiari -separazioni, divorzi, adozioni, fecondazioni più o meno assistite, matrimoni omosessuali-, nel lavoro post artigianale o nell’impresa virtuale, senza un radicale e complesso cambiamento etico e culturale col quale, invece, rifiutiamo di confrontarci. Perdere un referendum che doveva essere vinto può forse servire a capire in che pantano siamo finiti.