Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Sette parlamenta­ri veneti su dieci rischiano di restare senza pensione

Effetto della riforma 2012, riguarda chi è alla prima nomina. Filippin: «Incostituz­ionale»

- Giovanni Viafora © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA Sono 55 (su 75 in totale, cioè il 73%) i parlamenta­ri veneti che, se le Camere dovessero essere sciolte prima del prossimo 16 settembre, non percepiran­no neanche un euro di pensione. Si tratta di coloro che sono alla prima legislatur­a, per i quali il diritto scatterà solo dopo quattro anni, sei mesi e un giorno di attività parlamenta­re.

È l’effetto, questo, della norma che nel 2012 ha riformato il sistema di previdenza di deputati e senatori della Repubblica, non solo introducen­do il modello contributi­vo (la pensione si calcola in base ai contributi effettivam­ente versati) al posto di quello retributiv­o (il valore è dato da una media della retribuzio­ne percepita negli anni). Ma anche stabilendo che se non si raggiunge la soglia minima dei quattro anni e sei mesi, tutti i contributi fino a quel punto versati verranno persi. O meglio, finiranno nelle casse del fondo di Camera e Senato che servirà a pagare i vitalizi (ancora in vigore) dei vecchi parlamenta­ri.

Insomma, se prima del 2012 bastava anche un solo giorno da deputati per avere il vitalizio (cosa che è accaduta veramente: Luca Boneschi, eletto nei radicali il 12 maggio 1982, si dimise il giorno seguente; fino alla morte, avvenuta di recente, ha ricevuto 3.108 euro lordi al mese); da questa legislatur­a non sarà più così. A farne le spese, però, sono solo i parlamenta­ri entrati per la prima volta in parlamento con il voto del febbraio 2013; perché per gli altri i contributi non andranno persi ed andranno a sommarsi al cumulo maturato fino al 2012 con il sistema retributiv­o.

La voce del popolo, oggi, si scaglia proprio contro questa ampia fetta di parlamento (sono 600 in tutto deputati e sanatori al primo mandato, che rischiano quindi di perdere tutti i contributi): «Saranno loro — è il refrain — a tenere in vita la legislatur­a, per poter riuscire scollinare la data fatale del 16 settembre». Tra i deputati del Movimento 5 Stelle, ovviamente, la questione non viene messa neanche in dubbio. «Il tema peserà di certo — afferma la deputata veneziana Arianna Spessotto —. Qui c’è gente che per entrare in parlamento ha investito un sacco di soldi e che adesso si fa bene i conti in tasca». E in effetti, negare che la vicenda non sia all’attenzione degli stessi parlamenta­ri coinvolti sarebbe falso: «Non sarei sincero se non ammettessi che tra noi parliamo anche di questo» ha ammesso per esempio qualche giorno fa l’ex grillino, ora Pd, Tommaso Currò.

Ma la vicenda, probabilme­nte, andrebbe trattata in modo meno netto. A ben vedere, sull’onda anti-sistemica, si è passati da un estremo all’altro: dal vitalizio con un solo giorno di attività parlamenta­re; ai contributi maturati ma restituiti. Il monte è pure calcolabil­e: l’8,8% dell’indennità lorda, quindi pari a circa mille euro al mese, per quattro anni. Che moltiplica­to per 55 fa 2,7 milioni di euro. Soldi che spetterebb­ero ai parlamenta­ri veneti, ma che dovranno restare a Roma. «Alla fine della legislatur­a, che credo non andrà oltre maggio — ci dice la senatrice del Pd Rosanna Filippin — avrò accumulato 50mila euro di contributi, che dovrò però regalare al fondo di Palazzo Madama per pagare i vitalizi degli ex parlamenta­ri. Io non vorrei essere male interpreta­ta, perché sono parte in causa — continua Filippin —, ma da avvocato non posso che sostenere che questa sia una norma incostituz­ionale. Io non so se ci sia qualcuno che voglia muoversi, probabilme­nte no visto il clima, ma ci sarebbero tutti gli estremi per intervenir­e». Filippin, tuttavia, sgombera subito il campo: «Sia chiaro, tutti i miei colleghi del Pd che si trovano nella mia stessa situazione, sono i primi sostenitor­i delle elezioni anticipate». La doglianza, però, è trasversal­e: «Siamo davvero all’estremo opposto — sostiene il deputato della Lega Nord, il vicentino Filippo Busin —. Sono fiero e onorato di rappresent­are in aula il mio partito e spero si vada a votare; ma devo dire onestament­e che a fare questo mestiere non ci si guadagna. Specie per un profession­ista, che deve mettere in conto tutte le mancate prestazion­i e che alla fine si trova a ricomincia­re da zero». Rassegnato invece è il senatore del Pd, Giorgio Santini: «Le regole sono queste, le sapevamo, e bisogna accettarle». E sulla stessa linea è anche la tosiana Patrizia Bisinella: «Posso dire? La questione non mi appassiona nemmeno. Anche perché prima c’erano dei benefici esagerati». Il punto, forse, è proprio questo: ad oggi l’Inps paga 193 milioni di euro all’anno per pagare i vitalizi di 2.600 ex onorevoli e senatori. «Applicando le regole del sistema contributi­vo oggi in vigore — ha spiegato di recente il presidente dell’Inps, Tito Boeri — la spesa per vitalizi si ridurrebbe del 40%, scendendo a 118 milioni, con un risparmio, dunque, di circa 76 milioni di euro l’anno». Tutto chiaro?

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Filippin Alla fine dovrò perdere 50mila euro di contributi versati

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