Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

IL LIMBO COLPEVOLE DEI POLITICI

- Di Massimilia­no Melilli

Il fatto che Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, malato terminale, dopo denunce e appelli senza risposta, sia dovuto andare in Svizzera a proprie spese per togliersi la vita, è una sconfitta per l’Italia. Ci sono altri quattro veneti pronti a seguire il suo «esempio». E ieri nella clinica di Zurigo è morto il pensionato veneziano Gianni Trez. Con lui la moglie Emanuela che gli è stato accanto sino alla fine. Un filo comune unisce le storie dei malati terminali: fine vita mai. Come una condanna all’ergastolo , fine pena mai. In questo caso la malattia ha un inizio e mai un epilogo, se non grazie ai viaggi della morte in Svizzera. Tanti, troppi i casi alla voce testamento biologico che finora hanno scosso l’opinione pubblica ma non la politica: da Eluana Englaro a Piergiorgi­o Welby, Max Fanelli, Paolo Ravasin o Dino Bettamin, il primo caso di morte con la sedazione profonda. Proprio dopo il caso Eluana, i partiti avevano promesso una legge sul fine vita entro trenta giorni. Ne sono passati tremila. Marco Cappato, dell’Associazio­ne Luca Coscioni, si è autodenunc­iato a Milano per aver assistito al suicidio Dj Fabo. Rrischia fino a dodici anni di carcere. Tutto ciò accade in Italia, lo stesso Paese senza una legge sul fine vita e dove sei proposte di legge riposano Parlamento.

Peggio. La prima risale al 1984. Nel settembre 2013 una proposta di iniziativa popolare voluta dall’Associazio­ne Coscioni e firmata ad oggi da più di 100 mila persone, è stata depositata alla Camera. Punti chiave: depenalizz­azione del reato di eutanasia volontaria, richiesta da paziente maggiorenn­e con malattia incurabile e bassa aspettativ­a di vita. Il 3 marzo 2016 nelle Commission­i Giustizia e Affari Sociali, è iniziata la discussion­e della proposta Coscioni e di altre cinque bozze poi confluite in un testo unificato. Per la prima volta nella storia parlamenta­re è stato dibattuto il tema eutanasia. Ma in un anno quella è stata l’unica riunione. In compenso, per mesi abbiamo fatto i conti con snervanti dibattiti sul sistema elettorale, il referendum e l’architrave istituzion­ale del Paese. Piuttosto che un esercito di malati terminali condannati ad atroci sofferenze, la classe politica sembra alle prese con due emergenze: a sinistra si fanno i conti con la scissione del Pd e il futuro di Matteo Renzi mentre a destra, si vagheggia uno schieramen­to unito sull’onda dell’effetto Trump. Eppure, secondo gli italiani, la necessità di una legge in materia di fine vita è ormai inderogabi­le. Nel Rapporto Italia 2016 dell’Eurispes, il 60 per cento degli italiani si dice favorevole all’approvazio­ne immediata di una legislazio­ne sul tema. In termini etici ma anche di buon senso, è inutile rimandare ancora o continuare a negare la possibilit­à di fare una scelta sofferta che riguarda esclusivam­ente il malato terminale e non altri.

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