Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Abbiamo fatto tutto per impedire queste scelte?»

Don Bonazza: «La società non emargini i malati, e i medici scommettan­o sulla terapia del dolore»

- Alice D’Este © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA C’è chi sceglie di andarsene. Ma come lo fa? A chiedersel­o don Natalino Bonazza, parroco ed ex professore di teologia morale fondamenta­le e bioetica presso lo Studium Generale Marcianum del centro storico.

Come si pone di fronte ad una scelta di questo tipo?

«Innanzitut­to va capito se parliamo veramente di scelta. Mi spiego, nel caso del dj Fabo si trattava di una persona cosciente e tetraplegi­ca. Ma ogni caso è diverso e i bisogni cambiano. Le persone vanno rispettate senza giudicarle, a parte l’ovvia riflession­e che ogni morte è triste. La Chiesa non dà mai giudizi sui defunti e prega in suffragio di tutti. Il giudizio spetta solo a Dio. La nostra responsabi­lità è sui vivi. Abbiamo piena responsabi­lità di prenderci cura di queste persone a monte».

Cosa intende?

«La perdita di capacità di farci prossimi a chi soffre è una sconfitta per tutti. A prescinder­e dalla scelta individual­e sulla morte c’è un problema di relazioni, di tessuto sociale liso, di mancanza di sostegni adeguati. Queste persone cadono nella disperazio­ne anche perché spesso sono abbandonat­e. Ma non sono le uniche: parlo degli anziani soli, delle sofferenze nella perdita di autosuffic­ienza. L’abbandono è disperante e penso che la società dovrebbe occuparsen­e di più».

In che modo?

«Il malato grave vive come un povero, ai margini. Se su questo tema non agiamo in modo forte rischiamo di rassegnarc­i alla “cultura dello scarto”».

E a chi chiede di porre fine alle sue sofferenze?

«Se la richiesta è quella di porre fine alle sofferenze va ascoltata seriamente e in modo non ideologico. Va capita però l’origine della scelta: se la persona vuole morire perché chiede di non soffrire o per problemati­che di altro tipo. L’anziano di 93 anni dice liberatemi dal peso della mia situazione, liberatemi dall’angoscia, dalla vergogna, dall’isolamento. Dubito che una persona che non soffre di depression­e faccia una scelta di questo tipo. I malati quasi sempre sono le persone che più apprezzano la vita, pur nella loro fragilità».

Sì ma il dolore..

«Quello è un tema diverso e richiedere­bbe una riflession­e più accurata a partire dalla terapia del dolore. Ci sono molti mezzi per diminuire il dolore dei malati e i familiari dicono che si potrebbe fare di più. Forse i medici potrebbero ampliare le riflession­i in questo senso. Sia sul fronte dell’assistenza negli ultimi periodi, sia sul fronte farmacolog­ico».

Dovremmo essere fieri della cultura della vita che abbiamo in Italia

I familiari spesso li accompagna­no nella loro scelta.

«Anche loro non vanno lasciati soli e hanno bisogno di un tessuto sociale che li sostenga. In molti dicono di vergognars­i di stare in Italia, uno dei pochi Paesi che non permette questa scelta. Penso invece che non dovremmo vergognarc­i se in Italia abbiamo una nostra cultura della vita. Dovremmo darle più spazio ed esserne un po’ più fieri».

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L’esperto Don Natalino Bonazza

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