Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Don Piccoli a processo per omicidio

- Laura Tedesco © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VERONA «Ma quel giorno qui non c’ero solo io...». Così nel 2014 tentava invano di fugare ombre e sospetti da sé don Paolo Piccoli, 52 anni, veronese di origine, a proposito dell’omicidio di don Giuseppe Rocco, trovato morto nella propria camera della Casa del clero in via Besenghi a Trieste la mattina del 25 aprile di tre anni fa.

All’epoca don Piccoli veniva ancora considerat­o dagli inquirenti un testimonec­hiave del delitto, ma ieri mattina la sua posizione si è aggravata al punto da costargli il rinvio a giudizio per omicidio volontario . È il sacerdote veronese, infatti, l’unico accusato di avere strangolat­o quell’anziano parroco, suo vicino di stanza, che viveva nel seminario del capoluogo friulano. Inizialmen­te si ipotizzava un delitto preterinte­nzionale per rapina, ma poi il pm friulano Matteo Tripani lo ha incriminat­o per omicidio volontario in un’indagine che, in prima battuta, lo vedeva solo come persona informata sui fatti. Ora rischia trent’anni di carcere, se i sospetti saranno confermati nel corso del processo di primo grado a cui verrà sottoposto davanti alla Corte d’assise di Trieste. E ieri, proprio mentre si decideva della sua sorte giudiziari­a davanti al gup Giorgio Nicoli, don Piccoli stava presenzian­do a Verona, nella chiesa di San Giorgio in Braida, alla cerimonia funebre dell’imprendito­re scaligero Renato Nicolis. Pesante come un macigno, l’accusa di cui dovrà rispondere tra quattro mesi in Assise: aver ammazzato a sangue freddo il suo vicino di stanza di 92 anni dopo avergli strappato dal collo una catenina con medagliett­e d’oro. La prova indiziaria «regina» è considerat­a una serie di piccole macchie di sangue, trovate sotto il corpo di don Rocco e risultate coincident­i con il profilo genetico di don Piccoli:durante l’udienza di ieri, i difensori hanno focalizzat­o il proprio intervento sul fatto che don Piccoli soffrisse di dermatite acuta, patologia che gli avrebbe provocato alcune micro ferite alle dita: ragion per cui -è la loro tesi - quelle tracce ematiche sarebbero state perse dall’imputato mentre stava impartendo a monsignor Rocco l’estrema unzione. E pensare che inizialmen­te pareva una morte naturale, tanto che i sanitari del 118, intervenut­i dopo che «don Pino» (nomignolo della vittima) era stato trovato riverso ai piedi del letto, non avevano notato stranezze. Nè tantomeno alla Casa del clero, subito dopo il delitto, vennero chiamate le forze di polizia. Nulla di anomalo, in apparenza. Fu l’autopsia a rivelare tutto: strangolam­ento, frattura ossea. E ora don Piccoli è sotto accusa: omicidio volontario.

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