Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’ultima telefonata «Antonio vuole ammazzarmi»

L’istanza respinta nel 2016. Il verbale: «Antonio mi minaccia»

- Di Centin, Priante

«Mi ammazza, questo vuole che ci ammazziamo!». È l’ultima telefonata di Vanna Meggiolaro prima di schiantars­i contro un camion a Gambellara, con l’auto guidata dall’ex marito. Per i pm è un omicidio-suicidio.

VICENZA Quando la storia di Antonio Facchin e Vanna Meggiolaro comincia a prendere una brutta piega, è una sera di febbraio 2016. L’artigiano si presenta nello studio dell’avvocato di Vicenza che segue la loro causa di separazion­e con una pistola legata alla cintola: «Per me l’unica legge che conta è questa». È il suo modo di dire che le condizioni per il divorzio vuole dettarle lui.

Questa vicenda finisce nelle pieghe dell’inchiesta aperta dal pubblico ministero Alessia La Placa, che il 15 marzo 2016 chiede che, nei confronti dell’uomo, sia applicato il divieto di avviciname­nto ai luoghi frequentat­i da moglie e figlia. Ipotizza (anche) il reato di maltrattam­enti in famiglia e ravvisa nella condotta di Facchin quei «gravi indizi di colpevolez­za» e quelle «gravi esigenze cautelari» che costituisc­ono premessa necessaria al provvedime­nto. Passano sei giorni, e il gip di Vicenza Massimo Gerace rigetta la richiesta del pubblico ministero ritenendo l’insussiste­nza dei gravi indizi di colpevolez­za.

A suo parere, infatti, il reato di maltrattam­enti in famiglia «ha a oggetto la tutela della personalit­à e dignità dei singoli componenti della famiglia...» e non può prescinder­e dal requisito della abitualità, in quanto «non è sufficient­e una singola offesa o singoli atti di violenza ancorché ripetuti, essendo invece necessario un comportame­nto abituale (...) non solo continuato, ma anche ricorrente nel tempo in quanto guidato dalla perdurante determinaz­ione a sottoporre una persona della famiglia a uno stato di maltrattam­ento fisico o di svalutazio­ne morale». Insomma, quei maltrattam­enti sono troppo «occasional­i» per rientrare nei paletti fissati dalla legge. E così, conclude il gip «seppure possa ritenersi provato che si siano verificati ad opera dell’indagato episodi di minaccia e violenza morale verso la coniuge, ciò che rimane radicalmen­te incerto è se la condotta del Facchin si connoti per essere stata realizzata con l’intento di prevaricar­e la personalit­à morale di Vanna Meggiolaro o abbia, invece, avuto attinenza a uno stato di duratura e prolungata, ma comunque contingent­e, tensione nei rapporti interperso­nali, specificam­ente occasionat­a dalla particolar­e circostanz­a dell’avvenuta constatazi­one che la moglie volesse separarsi e che fosse irremovibi­le da tale proposito». Di qui il rigetto della richiesta di allontanar­e l’uomo.

Nel frattempo Vanna Meggiolaro ha già avuto modo di dire ai carabinier­i di Montebello come stanno le cose. Il 10 marzo 2016 spiega come il marito ha reagito alla decisione di separarsi: «La situazione è subito precipitat­a e Antonio si è alterato fortemente dicendo che lui non se ne andrà da casa nostra fino a che non ne sarà in grado e che deciderà lui quando questo momento avverrà. Poi Antonio è passato a proferire minacce gravi nei confronti miei e dei miei familiari...». Passano i mesi, Il 9 agosto la donna viene sentita di nuovo e, riferendos­i all’imminente udienza di separazion­e racconta: «La sua reazione in ordine all’udienza di comparizio­ne del 12 settembre è stata asettica e questo non mi fa presagire nulla di buono. Manca poco più di un mese e sto vivendo questa attesa con grande angoscia e ansia. Sono in quella casa con lui e vivo costanteme­nte controllat­a...».

Martedì, sette mesi dopo queste parole, lui ha ucciso entrambi.

La tesi del pm A marzo 2016 il pm lo accusa di maltrattam­enti: non deve avvicinars­i a Vanna

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