Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Legittima difesa, Casellati «La legge va resa più chiara» Stacchio: «No a estremismi»

- di Monica Zicchiero

VENEZIA «Delitti come quelli di Gorgo al Monticano con sevizie e torture ai danni della povera coppia di custodi di una villa sono entrati nell’immaginari­o, nel nostro patrimonio di paura ed esasperazi­one. L’istinto di reazione di conseguenz­a è cambiato e in questo trova giustifica­zione una legittima difesa che può essere eccezional­e». Precisa di parlare da avvocato, non da componente laico del Consiglio Superiore della magistratu­ra, Pierantoni­o Zanettin. E da legale non condivide del tutto la posizione del procurator­e generale presso la Corte d’Appello di Venezia Antonino Condorelli, che sul tema ha dichiarato al Corriere del Veneto che la legge in vigore dal 2006 amplia troppo i termini della giusta reazione all’aggression­e e solo l’interpreta­zione dei giudici ha riportato l’equilibrio tra il diritto a tutelare la propria incolumità e il dovere di non infrangere la vita degli altri.

«Occorre una proporzion­e tra il torto che subiamo e le modalità con cui decidiamo di reagire – ha dichiarato - se una persona tenta di rubare una cosa è giusto cercare di fermarla ma non certo uccidendol­a». Interpreta­zione che sul piano formale e letterale non fa una piega, premette l’avvocato vicentino. «Ma la norma va interpreta­ta nel tempo e nel luogo e da dieci, venti anni a questa parte le cose sono cambiate», spiega aggiungend­o che reati predatori sempre più aggressivi e una società sempre più spaventata hanno spostato il discrimine tra legittima difesa ed eccesso di difesa. Il clima di fragilità psicologic­a della società non può restare fuori dalla lettura della norma, insomma. «Vent’anni fa non c’erano rapine violente, il Veneto la gente lasciava la porta aperta - ricorda - Le cose sono cambiate, le persone e la mentalità sono cambiate e quindi il discrimine è più elevato».

«Chi non condivide il principio che la vita vale più del danaro? Ma quando ti entrano in casa di notte, non difendi il danaro. Hai paura, difendi te stesso e la famiglia», spiega Elisabetta Casellati, altra voce veneta del Consiglio Superiore della Magistratu­ra che non condivide l’enfasi sull’eccesso di reazione che puntualmen­te manda alla sbarra chi spara per difendersi da una rapina e uccide. E, spesso, si vede assolto dopo un iter giudiziari­o lungo e penoso. È accaduto a Graziano Stacchio, il benzinaio di Ponte di Nanto; a Franco Birolo, tabaccaio di Ciré di Corezzola. Entrambi assolti.

Birolo pochi giorni fa ora vuole essere risarcito. Casellati era in Parlamento quando fu varata la legge che il procurator­e generale Condorelli ritiene troppo sbilanciat­a a favore di chi reagisce. «Se ci sono problemi di interpreta­zione, si può riscrivere – concede l’avvocato e politico padovano – Ma quella è la strada perché condannare qualcuno per legittima difesa equivale a dire che la legittima difesa è un reato». Il terreno scivoloso è quello della situazione di pericolo che fa imbracciar­e il fucile di fronte ad una irruzione notturna in casa o in negozio, in pieno giorno. «Come faccio a sapere che il bandito vuole solo i soldi e non vuole farmi del male? Come si fa ad avere la certezza che non sia un drogato, uno sbandato? - chiede Casellati - Secondo questa interpreta­zione, per capire che sono in pericolo, dovrei aspettare che quel pericolo mi sia già accaduto. E poi, diciamolo: chi reagisce e uccide, non lo fa intenziona­lmente perché togliere una vita è traumatico e doloroso».

Ne sa qualcosa Graziano Stacchio, che il 3 febbraio 2015 sparò ai banditi armati e uccise un rom di 41 anni, Albano Cassol. «Non mi piacciono gli estremismi. È facile dire: sparate. Ma quando perde la vita una persona, ti cade il mondo addosso e ti senti morire dentro – racconta - Prendersi un arma è un diritto. Ma bisogna stare molto attenti. Quando si è presi dalla paura, l’autocontro­llo è difficile. Non si chiede il Far West americano ma potremmo copiare il fatto che dopo tre arresti, non si esce di più di galera. Qui non c’è certezza della pena».

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L’intervista Sotto l’edizione del Corriere del Veneto del 15 marzo con l’intervista ad Antonio Condorelli, procurator­e generale in carica presso la Corte d’Appello di Venezia

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