Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Gli scienziati della «Torre» «Pochi risultati? La ricerca ha bisogno di più tempo»
Dimissioni alla Città della Speranza, la replica al presidente Masello
PADOVA Lui è un imprenditore e i risultati li vuole presto e bene, a fronte di investimenti importanti: 32 milioni di euro sborsati nel 2012 per costruire la Torre della Ricerca a Padova e un milione l’anno per coprirne le spese; 24 milioni spesi dal 1999 per finanziare progetti di ricerca; altri 6,5 raccolti nel 2016 e un bilancio da chiudere in attivo: +1,8 milioni. Franco Masello, focoso fondatore e presidente della Fondazione Città della Speranza, è entrato in rotta di collisione con l’altrettanto storico direttore generale Stefano Bellon, che si è dimesso, proprio per la gestione «imprenditoriale» della onlus e della sua prima costola, l’Istituto di ricerca pediatrica (Irp) insediato nella torre. «La ricerca non serve a fare pubblicazioni ma a ottenere risultati concreti per curare i bambini», è la sentenza senza appello di Masello. Alla quale risponde l’orgoglio dei ricercatori dell’Irp, 292 in tutto, 60 dei quali pagati dalla stessa Fondazione e la quasi totalità con contratto a progetto rinnovabile ogni biennio, a seconda dei «grant» (assegni di ricerca) ottenuti da vari enti.
«Le polemiche di questi giorni ci fanno venire voglia di impegnarci ancora di più e rispondere con i fatti — dice Michela Pozzobon, biologa trevigiana al lavoro al settimo piano, nel laboratorio «Cellule staminali e Medicina rigenerativa» —. Sono stata tre anni in Inghilterra e se davvero qui non ci fossero stati risultati nè prospettive, me ne sarei tornata indietro. Se c’è chi finanza i nostri progetti significa che i frutti degli studi in corso ci sono eccome». «Ma non sono immediati — spiega Martina Piccoli di Pordenone, nella stessa équipe — tu inizi un lavoro pensando a un obiettivo e magari ne centri un altro, totalmente impensato. Una volta su cento arrivi alla meta prefissata, tutte le altre risposte che raccogli man mano sono in negativo, ma ti servono a stringere il cerchio. Se siamo qui dal 2004 significa che stiamo procedendo». «E’ stata un’evoluzione continua, in termini di successi, tecnologie, spazi — conferma Chiara Franzin di Jesolo, all’Irp dal 2010, dopo un anno a Cambridge e la gavetta in Clinica Medica 3 —. A me poi è stata data fiducia totale: la Fondazione mi ha assunta con contratto a termine nel 2012, mentre ero incinta di sette mesi, e mi ha confermata alla scadenza dei due anni, quando aspettavo il secondo figlio».
Stessa musica nei nuovi laboratori dell’Istituto oncologico veneto, aperti nel luglio 2015 e dedicati alla Diagnostica molecolare e ai tumori ereditari. «Due realtà prima separate e ora riunite, grazie a spazi finalmente adeguati — racconta la dottoressa Rita Zamarchi —. I due ambiti si intersecano e da quando sono nella torre le rispettive équipe hanno elaborato progetti condivisi, ottenendo finanziamenti di 800mila e 500mila euro dal ministero della Salute. Ma ci sono voluti dieci anni: siamo partiti con una piattaforma donata dall’Ascom e ora ne abbiamo una di ultima generazione, unica in Italia». «Non si possono misurare i risultati dai denari investiti — aggiunge la collega Francesca Schiavi — la ricerca ha una parte sotterranea che dura molto tempo e serve ad aumentare le conoscenze e a portare a casa soldi per finanziarla. Nella torre sono poi facilitati i rapporti con i colleghi di altre specialità».
Tra le linee di ricerca principali la «Medicina di precisione» in Oncoematologia pediatrica, che individua le caratteristiche molecolari del singolo tumore per poterlo trattare con le terapie più adeguate ad ogni malato; la genetica e l’utilizzo di tecnologie in grado di capire in anticipo quale organismo risponderà alle cure e quale no; la Medicina rigenerativa e il ricorso a matrici ripopolate con le cellule del ricevente per ricostruire parti di muscolo o il diaframma dei neonati danneggiato dall’ernia. La stessa tecnologia consente di comprendere lo sviluppo del tumore e di mettere a punto una terapia anche in base all’ambiente che lo circonda. Poi ci sono gli studi sulle particelle microbiologiche, microvescicole che rilasciano sostanze antinfiammatorie e quindi sono farmaci biologici; e le nanotecnologie mediche, che impiegano nanoparticelle metà sintetiche e metà naturali(globuli bianchi) per trasportare il farmaco a bersaglio. Due brevetti sono stati ottenuti per le matrici e per le microvescicole, un terzo è in via di riconoscimento.
Intanto si studia un modo per evitare di pagare 220mila euro di Iva all’anno. La soluzione sarebbe trasformare l’Irp in spa senza fini di lucro, con unico proprietario la Fondazione.
Pozzobon Polemiche? Ci fanno venir voglia di impegnarci sempre più Piccoli Ancora una volta la nostra risposta sono i risultati Zamarchi L’esito degli studi non è immediato e non si misura dai soldi spesi