Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Nessuna diatriba, abbiamo diviso i ruoli per fare ordine»
PADOVA Professor Marco Pierotti, lei è il direttore scientifico dell’Istituto di Ricerca pediatrica (Irp): cosa sta succedendo?
«Nulla di eccezionale. Sono sorpreso da tanto clamore sorto in merito al cambio di statuto, voluto da tutti i soggetti interessati per migliorare la gestione dell’Istituto. Quando sono arrivato, nell’aprile 2015, la torre era un condominio: ogni gruppo di ricerca era un microcosmo a sé, procedeva per conto proprio e chiedeva fondi a nome di diversi enti, a seconda della propria provenienza: Università, Irp, Istituto oncologico veneto, eccetera. Ora che è stata formalizzata la divisione dei compiti tra Fondazione Città della Speranza e Istituto, la situazione è più ordinata. Con il nuovo statuto l’Irp diventa un soggetto autonomo, che deve cercare finanziamenti sul mercato per sostenere i progetti di ricerca e che ha un “proprietario”: la Fondazione appunto». E come cambia il ruolo della Fondazione?
«Diventa una Charity, che a fronte della progettualità presentata ogni tre anni dall’Istituto può decidere se finanziarla in toto o in parte. E magari sostenere altri progetti, anche esterni. Insomma, prima c’era una commistione di funzioni che creava caos, ora c’è una giusta separazione di ruoli e funzioni».
Ma se tutto è così chiaro, perchè le dimissioni di Stefano Bellon e le recriminazioni di Franco Masello di aver speso molto e ottenuto pochi risultati?
«Ripeto: questo era un passaggio obbligato ed è stato condiviso da tutti. La Fondazione Città della Speranza ha costruito in tre anni l’Istituto di ricerca pediatrica più grande d’Europa, ma ha pagato uno scotto di “gioventù”, quindi di inesperienza, perciò all’inizio la gestione era caotica, bisognava mettere ordine. La prima indicazione che mi diedero i due fondatori, Franco Masello e Andrea Camporese, fu proprio di separare le funzioni, per sciogliere l’equivoco di fondo». E ha funzionato?
«Eh si, adesso i gruppi di ricerca interagiscono e tutti chiedono grant (assegni di ricerca, ndr) a nome dell’Irp».