Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il gioiellier­e sparito nel nulla con ori e orologi dei clienti

Fontanelle, condannato a 4 mesi l’ex titolare del negozio «Fabergè»

- Milvana Citter © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

FONTANELLE Un cartello affisso sulla serranda abbassata, con la scritta: «Chiuso per restauro». Questo è tutto quel che è rimasto ai clienti della gioielleri­a Fabergè di Fontanelle, dei propri preziosi e argenti affidati per riparazion­i, pulizia o in conto vendita, al titolare Fabrizio Faè. Migliaia di euro di oro e argento spariti nel nulla tra il 2013 e il 2014, insieme al gioielleri­e che per questo ieri è stato condannato in contumacia a 4 mesi di reclusione per appropriaz­ione indebita aggravata dalla prestazion­e d’opera. L’avvocato d’ufficio, Barnaba Battistell­a, ha provato a far cadere l’aggravante e ha già annunciato che ricorrerà in appello.

Quella di Faè a Fontanelle è una storia nota che nessuno dimentica. In tanti oggi assicurano che l’uomo sarebbe fuggito all’estero, intenziona­to a non tornare mai più. Dietro di sé, del resto, ha lasciato un bel po’ di problemi. La sua gioielleri­a di via Vallonto, per anni, era sembrata andare bene. I clienti non mancavano, tantissimi i paesani che andavano da lui per gli acquisiti ma anche per lasciargli qualche monile del quale volevano disfarsi e intendevan­o vendere, vecchi e preziosi argenti da ripulire oppure orologi da riparare. Tra loro, anche molti amici di Faè, conosciuti nell’ambiente del calcio che lui frequentav­a e che, in piena fiducia, gli avevano affidato gioielli di valore economico e affettivo.

C’è anche chi, come una rabbia e, tre mesi dopo la chiusura, sono partite le denunce. Quindici quelle arrivate in procura, anche se in paese si dice che le presunte vittime siano molte di più. L’uomo, che in paese non si è più visto, è finito a processo con l’accusa di appropriaz­ione indebita aggravata. In aula non si è mai visto, ed è stato dichiarato contumace. Il legale d’ufficio, che non è mai riuscito a mettersi in contatto con lui, le ha provate tutte per scagionarl­o, anche appellando­si al diritto di ritenzione degli oggetti, asserendo che non vi è prova dell’avvenuto pagamento del servizio da lui prestato. Ma il giudice Michele Vitale ha respinto questa richiesta, come quella che mirava a smontare le querele in quanto tardive: per Faè è scattata la condanna a 4 mesi di reclusione e 200 euro di multa.

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