Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
VOUCHER, PIÙ TIFO CHE VISIONE
Piovono voucher, governo ladro. In principio era una campagna sindacale della Cgil ma ben presto il fronte si è allargato. Dalla sinistra radicale al centrodestra, teoricamente e storicamente contiguo agli ambienti imprenditoriali, sono partiti gli strali contro i buoni per pagare i lavoratori a ore e il governo che li ha ispirati. Crociata vittoriosa perché oggi si celebra il funerale del voucher infedele.
Naturalmente il clima politico è già cambiato e se ieri erano tutti contrari oggi spuntano masse di nostalgici pronti a ritrattare e a garantire sulla bontà e sulle virtù del defunto.
Se qualcuno se ne sorprende forse non ha ancora capito che viviamo in un Paese malato di partigianeria, che riproduce di continuo i rituali del tifo calcistico e che si approccia ai problemi con atteggiamento fideistico. Incapace di giudicare con obiettività e imparzialità, di esaminare e soppesare. Il calcio di rigore c’era per noi e non per gli altri, la scelta è giusta se viene presa dalla nostra squadra e sbagliata se la firma è quella dell’avversario. Ci sono tutti dentro, da sinistra a destra, dal centro ai partiti demagogici che per loro natura di questo mantra se ne fanno campioni. Il risultato della partita, per tornare ai voucher, è che abbiamo eliminato un problema sull’onda delle pressioni partigiane per doverne affrontare un altro. Ora che i buoni non ci sono più che si fa?
Lo scontro sindacale si è acceso perché i voucher hanno mostrato i loro limiti. In Veneto, ultimi dati disponibili, sono strumento di pagamento per quasi 180 mila lavoratori e i buoni in pochi anni sono saliti all’incredibile cifra di 18,5 milioni. Di qui il dubbio: non è che invece di retribuire il lavoro occasionale trasformano in super-precari masse di lavoratori che altrimenti godrebbero di un vero contratto a tempo determinato o addirittura indeterminato? La risposta è sì, è accaduto. In trecento deplorevoli casi, studio Veneto Lavoro-WorkInps Paper, lavoratori con il posto fisso sono stati licenziati e «riassunti» con i voucher. In trecento casi, non proprio spesso. Assai più di frequente però - si parla di decine di migliaia di casi - i voucher hanno sostituito contratti stagionali: l’imprenditore paga con i buoni (che gli costano meno) e il lavoratore prende meno (con ridotte tutele e senza garanzie di continuità). E’ altresì vero però che su 42mila lavoratori veneti che sono stati pagati dalla loro azienda sia con i voucher che con un regolare contratto, nella metà dei casi il voucher ha preceduto la stabilizzazione. Ovvero: quando l’imprenditore si è reso conto che il lavoratore gli serviva in maniera continuativa, l’ha assunto creando di fatto un posto di lavoro. Nel turismo inoltre sono preponderanti i casi in cui i voucher vengono usati all’inizio o in coda alla stagione, a maggio o settembre, quando il meteo è decisivo per i numeri della clientela (e non a luglio o ad agosto quando camerieri e cuochi devono esserci per forza e con tanto di regolare contratto).
Insomma, il voucher non era né un demone né l’uovo di colombo ma uno strumento che andava corretto. Bisognava esaminare e soppesare, non parteggiare. Perché se il tema delle tutele sindacali e delle distorsioni del mercato resta, i tempi non consentono più crociate contro la flessibilità. Non foss’altro perché il mercato più flessibile del mondo, quello dove il posto fisso non è mai così fisso ma anche quello dove se perdi il lavoro la mattina puoi trovarlo la sera, è in questo momento quello che funziona meglio. Leggetevi i dati che arrivano dagli Stati Uniti. Siamo sicuri che ora, senza voucher, tutti i lavoratori pagati a ore avranno regolare contratto? Finiranno mica a ingrassare la fabbrica del lavoro nero?