Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Quel vecchio camion riconvertito ad altri servizi
LA PROCURA INDAGINI E PERIZIE Omicidio colposo, per ora l’autista è l’unico indagato: ricoverato in ospedale sotto choc
Dieci bulloni che si svitano pian piano e come in un domino, finiscono per trasformare il piede stabilizzatore di un vecchio camion rifiuti in un braccio della morte. È da qui che parte l’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Daniela Randolo sull’incidente di ieri mattina. Verrà verificata tutta la catena delle manutenzioni.
PADOVA Dieci bulloni che si svitano pian piano e come in un domino, finiscono per trasformare un piede stabilizzatore in un braccio della morte. Dieci bulloni che si svitano e una vita, quella di Massimo Bettini, responsabile del centro di smistamento postale di Camin, che se ne va tranciata dal braccio che doveva restare ancorato al pianale di un vecchio camion dei rifiuti di AcegasApsAmga (Hera). È da qui che parte il secondo, e più intricato, capitolo dell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Daniela Randolo sull’incidente di ieri mattina.
Finora sul registro degli indagati c’è solo il nome di Dario Quaggia, 40 anni di Piove di Sacco, autista del camion incriminato e iscritto con le accuse di omicidio colposo e lesioni colpose. Responsabile, quasi per volere del fato, di una morte assurda. Ma il sospetto è che qualcosa sia andato storto ben prima e che l’incidente di ieri – quando un braccio di sollevamento e di stabilizzazione del camion dei rifiuti ha scoperchiato quattro auto e ucciso uno dei conducenti, ferendone altri due - sia solo l’atto finale di una tragedia che covava da tempo. I dubbi sono concentrati sulla manutenzione del mezzo, di vecchia immatricolazione e nato come camion-gru. Da diversi mesi il suo utilizzo non era più quello. Veniva impiegato dai dipendenti della multiutility che gestisce i rifiuti di Padova per il trasporto dei cassoni. Al suo pianale però erano ancora ancorati i bracci di sollevamento che servivano a stabilizzare il mezzo ogni volta che veniva azionata la gru. Stando a quanto raccolto dai tecnici dello Spisal il camion era stato controllato tre mesi fa ed erano anche stati spesi diverse migliaia di euro per il collaudo. Come mai, quindi, solo poche settimane dopo i bulloni che tenevano agganciato il fermo del braccio di sollevamento, si sono svitati senza grosse difficoltà, trasformando quei pezzi meccanici in una falce mortale? È la domanda a cui gli inquirenti cercheranno di rispondere nei prossimi giorni, dopo che l’autopsia sul corpo della vittima avrà tolto i (pochi) dubbi sulla dinamica dell’incidente. I mille perché saranno figli delle possibili perizie sul camion coinvolto nell’incidente di via Vigonovese e dell’acquisizione dell’intero incartamento in cui è racchiusa la storia del mezzo. In quel fascicolo, giocoforza, ci devono essere anche le autorizzazioni rilasciate alla fine dei controlli dei mesi scorsi. È su quelle carte che si concentrerà l’attenzione della procura: che qualcuno abbia firmato un via libera con troppa leggerezza è presto per dirlo, ma il dubbio c’è. E non è l’unico. Sentito dagli agenti della polizia municipale di Padova, l’autista – che viaggiava nei limiti di velocità ed è risultato negativo all’alcoltest tanto da essere ricoverato sotto choc nel pomeriggio – ha confessato che ieri mattina era la prima volta in cui si metteva alla guida di quel mezzo. Resta quindi da capire come mai, e soprattutto chi, abbia dato il via libera alla circolazione di un camion nato per esser utilizzato come gru, quasi dismesso nel corso del tempo e improvvisamente trasformato in un mezzo da usare per trasportare i cassoni delle immondizie. Sul piatto al momento ci sono ancora troppi punti oscuri per archiviare i fatti di via Vigonovese come un semplice incidente stradale. Le cause potrebbero avere radici antiche.