Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I venetisti del tanko Ora vacilla l’ipotesi di terrorismo
L’INCHIESTA SUL TANKO IN 48 SOTTO ACCUSA Centinaia di manifestanti fuori dal tribunale di Brescia per l’udienza preliminare a carico degli indipendentisti «È un processo politico» Vacilla l’ipotesi di terrorismo
Cinquecento manifestanti di fronte al tribunale di Brescia per l’udienza ai 48 venetisti del tanko. Vacilla l’accusa di terrorismo.
BRESCIA Vecchi e nuovi Serenissimi, arrivano alla spicciolata. C’è il padovano Flavio Contin, 75 anni, «El Vècio» del gruppo che il 9 maggio 1997 espugnò il campanile di San Marco. E c’è Lucio Chiavegato, veronese ex leader dei Forconi, con la spilla del «leòn» sul bavero della giacca. Si avvicina anche Giancarlo Orini di «Brescia Patria», il volto nascosto da un passamontagna scuro: «Visto che mi accusano di essere un terrorista, ho pensato di vestirmi in modo adeguato...».
Il tribunale è un palazzone austero a due chilometri da Piazza della Loggia. I 48 indipendentisti lombardo-veneti si presentano di buonora con uno stuolo di avvocati, sfiorano la statua di Giuseppe Zanardelli «patriota e politico italiano» e si infilano nella sala per le udienze intitolata all’ex ministro Dc, Mino Martinazzoli. «Ci paragonano alle Brigate Rosse ma noi siamo persone di alto spessore etico, morale e cristiano. Noi siamo patrioti!», chiosa Patrizia Badii, fiorentina di Scandicci trapiantata a Verona, dove ha aderito al Comitato di Liberazione nazionale del Veneto.
Tutti insieme (o quasi, all’appello mancavano personaggi del calibro dell’ex sottosegretario Franco Rocchetta) non si ritrovavano da tanto. Più o meno dai tempi - era il 2014 - in cui s’erano messi in testa di costruire un tanko simile a quello utilizzato trent’anni fa dai Serenissimi. In un capannone a Casale di Scodosia trasformarono una ruspa in un blindato con annesso cannone che - si è scoperto solo di recente - in realtà non è in grado di centrare un bersaglio a due metri di distanza. Ma non importa, perché la procura di Brescia è decisa a processarli con l’accusa di associazione con finalità terroristiche e di eversione dell’ordine democratico. Rischiano fino a 15 anni di reclusione. In pratica i militanti de «L’Alleanza» volevano piombare in piazza San Marco e proclamare l’indipendenza del Veneto, convinti che «il popolo» li avrebbe spalleggiati. Qualcuno si divertì a ribattezzarlo un «golpe da mona», ma gli inquirenti hanno sempre sostenuto che il manipolo di venetisti fosse davvero in procinto di tentare il blitz.
In ballo, ieri mattina, c’era il confronto con il giudice che dovrà decidere se rinviali o meno a giudizio. «Ma è evidente a tutti che questo è un processo politico - ribatte Chiavegato - perché il tanko non s’è mai mosso dal capannone e nessuno di noi ha mai fatto nulla di terroristico. Sul banco degli imputati ci sono le nostre idee, la convinzione che il Veneto debba essere indipendente».
Si presentano come martiri della «causa veneta»: offrono il petto allo Stato italiano sapendo che più se ne parla più aumenteranno i loro sostenitori. Patrizia Badii scrolla le spalle: «Va bene così: finalmente in un’aula giudiziaria si discute di indipendentismo e della libertà di un popolo all’autodeterminazione. Se poi finisce che ci rinviano a giudizio, allora vedremo quanta gente scenderà in piazza».
Un assaggio, il giudice Alessandra Sabatucci l’ha già avuto. Quando inizia l’udienza preliminare, fuori dal Palazzo di Giustizia di Brescia ci sono almeno 500 manifestanti con le bandiere di San Marco e gli striscioni «Siete uno Stato nemico» e le magliette nere con su scritto «Arestéme», arrestatemi. «Par tèra, par mar: San Marco!» strilla la folla. Anche una bimba di 5 anni scandisce i cori divertita. È la figlia di Loris Mazzorato, ex sindaco di Resana che si aggira tra la gente in mutande e scarpette da tennis: «La Costituzione è morta, ci hanno spogliato di tutto e vogliono toglierci anche la dignità. Lo Stato ci impedisce di essere persone libere, ci vorrebbe tutti schiavi di questo sistema...». Parte l’applauso. Ancora slogan: «Veneto... Libero!».
Per arrivare in orario, i manifestanti sono partiti all’alba, a bordo di cinque autobus. E qualcuno ora prova a battere la stanchezza brindando a birra e spritz. Un tizio, con la casacca blu e la scritta «Venetix», da venti minuti sta implorando di avere un megafono. Pare voglia improvvisare un comizio ma nessuno gli dà retta.
Si avvicina Michele Garzon, sindaco di Veronella: «Questo è un processo al pensiero. È ingiusto. Sono qui per difendere la libertà di dire ciò che voglio. Al referendum, quando ci sarà, voterò sì, a patto che sia solo il primo passo verso la vera indipendenza». Politica e folklore si mescolano, tra chi cita a memoria gli articoli della Costituzione e chi strilla «se Lucio (Chiavegato, ndr) è un terrorista allora lo sémo anca noialtri».
Intanto, nell’aula del tribunale gli avvocati si danno da fare. «La tesi della procura non regge. In fondo hanno trovato soltanto una ruspa rinchiusa in un capannone», dice Alessio Morosin, leader di Indipendenza Veneta e legale di Flavio Contin. Dopo quattro ore di confronto, il giudice decide di rinviare ogni decisione al 15 maggio ma prima di chiudere invita il pubblico ministero Carlo Nocerino «a valutare l’opportunità di riformulare l’imputazione». Insomma, l’accusa di terrorismo sembra vacillare. «Ne parlerò con il procuratore - conferma il pm - potrebbe profilarsi il reato di associazione eversiva oppure di attentato all’integrità dello Stato».
Morosin gli regala una copia del suo libro dal titolo «Auto-determinazione». Se è una provocazione, Nocerino non la coglie. Anzi, ringrazia: «Mi piacciono i veneti e la storia della Serenissima mi ha sempre affascinato. Figuriamoci se voglio mettere in discussione il loro diritto a sentirsi un popolo...».
Il pm e il libro scritto dal venetista Alessio Morosin, avvocato e leader di Indipendenza Veneta, ieri ha regalato al pubblico ministero Carlo Nocerino una copia autografata del suo libro «Autodeterminazione». (Nella foto, il pm Nocerino con il volume)