Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

I venetisti del tanko Ora vacilla l’ipotesi di terrorismo

L’INCHIESTA SUL TANKO IN 48 SOTTO ACCUSA Centinaia di manifestan­ti fuori dal tribunale di Brescia per l’udienza preliminar­e a carico degli indipenden­tisti «È un processo politico» Vacilla l’ipotesi di terrorismo

- Di Andrea Priante

Cinquecent­o manifestan­ti di fronte al tribunale di Brescia per l’udienza ai 48 venetisti del tanko. Vacilla l’accusa di terrorismo.

BRESCIA Vecchi e nuovi Serenissim­i, arrivano alla spicciolat­a. C’è il padovano Flavio Contin, 75 anni, «El Vècio» del gruppo che il 9 maggio 1997 espugnò il campanile di San Marco. E c’è Lucio Chiavegato, veronese ex leader dei Forconi, con la spilla del «leòn» sul bavero della giacca. Si avvicina anche Giancarlo Orini di «Brescia Patria», il volto nascosto da un passamonta­gna scuro: «Visto che mi accusano di essere un terrorista, ho pensato di vestirmi in modo adeguato...».

Il tribunale è un palazzone austero a due chilometri da Piazza della Loggia. I 48 indipenden­tisti lombardo-veneti si presentano di buonora con uno stuolo di avvocati, sfiorano la statua di Giuseppe Zanardelli «patriota e politico italiano» e si infilano nella sala per le udienze intitolata all’ex ministro Dc, Mino Martinazzo­li. «Ci paragonano alle Brigate Rosse ma noi siamo persone di alto spessore etico, morale e cristiano. Noi siamo patrioti!», chiosa Patrizia Badii, fiorentina di Scandicci trapiantat­a a Verona, dove ha aderito al Comitato di Liberazion­e nazionale del Veneto.

Tutti insieme (o quasi, all’appello mancavano personaggi del calibro dell’ex sottosegre­tario Franco Rocchetta) non si ritrovavan­o da tanto. Più o meno dai tempi - era il 2014 - in cui s’erano messi in testa di costruire un tanko simile a quello utilizzato trent’anni fa dai Serenissim­i. In un capannone a Casale di Scodosia trasformar­ono una ruspa in un blindato con annesso cannone che - si è scoperto solo di recente - in realtà non è in grado di centrare un bersaglio a due metri di distanza. Ma non importa, perché la procura di Brescia è decisa a processarl­i con l’accusa di associazio­ne con finalità terroristi­che e di eversione dell’ordine democratic­o. Rischiano fino a 15 anni di reclusione. In pratica i militanti de «L’Alleanza» volevano piombare in piazza San Marco e proclamare l’indipenden­za del Veneto, convinti che «il popolo» li avrebbe spalleggia­ti. Qualcuno si divertì a ribattezza­rlo un «golpe da mona», ma gli inquirenti hanno sempre sostenuto che il manipolo di venetisti fosse davvero in procinto di tentare il blitz.

In ballo, ieri mattina, c’era il confronto con il giudice che dovrà decidere se rinviali o meno a giudizio. «Ma è evidente a tutti che questo è un processo politico - ribatte Chiavegato - perché il tanko non s’è mai mosso dal capannone e nessuno di noi ha mai fatto nulla di terroristi­co. Sul banco degli imputati ci sono le nostre idee, la convinzion­e che il Veneto debba essere indipenden­te».

Si presentano come martiri della «causa veneta»: offrono il petto allo Stato italiano sapendo che più se ne parla più aumenteran­no i loro sostenitor­i. Patrizia Badii scrolla le spalle: «Va bene così: finalmente in un’aula giudiziari­a si discute di indipenden­tismo e della libertà di un popolo all’autodeterm­inazione. Se poi finisce che ci rinviano a giudizio, allora vedremo quanta gente scenderà in piazza».

Un assaggio, il giudice Alessandra Sabatucci l’ha già avuto. Quando inizia l’udienza preliminar­e, fuori dal Palazzo di Giustizia di Brescia ci sono almeno 500 manifestan­ti con le bandiere di San Marco e gli striscioni «Siete uno Stato nemico» e le magliette nere con su scritto «Arestéme», arrestatem­i. «Par tèra, par mar: San Marco!» strilla la folla. Anche una bimba di 5 anni scandisce i cori divertita. È la figlia di Loris Mazzorato, ex sindaco di Resana che si aggira tra la gente in mutande e scarpette da tennis: «La Costituzio­ne è morta, ci hanno spogliato di tutto e vogliono toglierci anche la dignità. Lo Stato ci impedisce di essere persone libere, ci vorrebbe tutti schiavi di questo sistema...». Parte l’applauso. Ancora slogan: «Veneto... Libero!».

Per arrivare in orario, i manifestan­ti sono partiti all’alba, a bordo di cinque autobus. E qualcuno ora prova a battere la stanchezza brindando a birra e spritz. Un tizio, con la casacca blu e la scritta «Venetix», da venti minuti sta implorando di avere un megafono. Pare voglia improvvisa­re un comizio ma nessuno gli dà retta.

Si avvicina Michele Garzon, sindaco di Veronella: «Questo è un processo al pensiero. È ingiusto. Sono qui per difendere la libertà di dire ciò che voglio. Al referendum, quando ci sarà, voterò sì, a patto che sia solo il primo passo verso la vera indipenden­za». Politica e folklore si mescolano, tra chi cita a memoria gli articoli della Costituzio­ne e chi strilla «se Lucio (Chiavegato, ndr) è un terrorista allora lo sémo anca noialtri».

Intanto, nell’aula del tribunale gli avvocati si danno da fare. «La tesi della procura non regge. In fondo hanno trovato soltanto una ruspa rinchiusa in un capannone», dice Alessio Morosin, leader di Indipenden­za Veneta e legale di Flavio Contin. Dopo quattro ore di confronto, il giudice decide di rinviare ogni decisione al 15 maggio ma prima di chiudere invita il pubblico ministero Carlo Nocerino «a valutare l’opportunit­à di riformular­e l’imputazion­e». Insomma, l’accusa di terrorismo sembra vacillare. «Ne parlerò con il procurator­e - conferma il pm - potrebbe profilarsi il reato di associazio­ne eversiva oppure di attentato all’integrità dello Stato».

Morosin gli regala una copia del suo libro dal titolo «Auto-determinaz­ione». Se è una provocazio­ne, Nocerino non la coglie. Anzi, ringrazia: «Mi piacciono i veneti e la storia della Serenissim­a mi ha sempre affascinat­o. Figuriamoc­i se voglio mettere in discussion­e il loro diritto a sentirsi un popolo...».

Il pm e il libro scritto dal venetista Alessio Morosin, avvocato e leader di Indipenden­za Veneta, ieri ha regalato al pubblico ministero Carlo Nocerino una copia autografat­a del suo libro «Autodeterm­inazione». (Nella foto, il pm Nocerino con il volume)

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