Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Ex popolari, parte la trattiva con Bce Mion: «Fusione, spero in tempi rapidi»
Offerta agli azionisti, adesioni vicine al 60%. Azzerati rischi per 2 miliardi di euro
VENEZIA «Ora spero in tempi rapidi per la fusione». Gianni Mion, presidente di Popolare di Vicenza, guarda già all’aspetto più critico dello scenario aperto l’altro ieri dalla richieste ufficiali di Bpvi e Veneto Banca per avere il sostegno dello Stato nella ricapitalizzazione. Ovvero che, come già nel caso Montepaschi, ancora al palo da Natale, s’inneschi una trattativa senza fine. Capace di trasformare l’idea di una rapida fusione da scorciatoia per il rilancio, in obiettivo irraggiungibile. Che, insieme ai tempi, dilati anche i problemi, fino all’implosione delle due banche. Il monito, l’altro ieri, dell’agenzia Fitch, che ha declassato il rating a breve termine di Bpvi a «C», ovvero subito prima del default, è chiaro. Si vedrà nei prossimi giorni se avrà effetti sulla raccolta. Ma dice già che il tempo è davvero scaduto. «Spero si arrivi rapidamente a una conclusione - dice Mion -. Non ci possiamo permettere di aspettare. Così com’è la situazione non può migliorare».
La prospettiva non può che rimanere quella di una fusione entro l’anno, ripartendo da una quota di mercato ancora sufficiente. Senza deteriorare, nell’attesa, i punti fermi prospettati nelle lettere inviate a Tesoro, Bankitalia e Bce. Ovvero che le due banche ritengono i 6 miliardi complessivi di patrimonio netto in casa sufficienti per assorbire, insieme alla conversione degli 1,2 miliardi di obbligazioni subordinate, le perdite dei bilanci 2016, in approvazione il 28 marzo, e assicurare la continuità aziendale.
Ma anche che, con quanto già firmato e quanto arriverà negli ultimi tre giorni, l’operazione di rimborso ai soci riduce in maniera significativa il rischio cause e si possa dichiararla di successo. I risultati, ieri, dell’ultimo sabato a filiali aperte, secondo indiscrezioni, avrebbero fatto salire al 53%, dal 49% di venerdì, le azioni su cui è stata firmata una transazione in Bpvi, e al 56%, dal 52%, in Veneto Banca. Se poi si contano gli appuntamenti già fissati per firmare, si va vicini nel complesso al 60%.
Si vedrà quanto potrà aggiungersi ora, tra lunedì e mercoledì, con le filiali aperte fino alle 18.45. Secondo alcune proiezioni, si potrebbero superare anche a Vicenza il 70%, sperando in un’adesione massiccia dell’8% che ha manifestato interesse senza fissare appuntamenti, al pari dei soci indecisi con pacchetti rilevanti: valgono il 7%. Così l’operazione di rimborso avrebbe sterilizzato il massimo rischio legale sulle azioni considerate, pari a 4 miliardi, per una cifra tra i2 e i 2,4 miliardi. L’obiettivo del 70% farebbe salire i rischi azzerati a 2,8 miliardi, meno dei 3,2 su 4 fissati a gennaio con l’asticella delle adesioni all’80%. Ma forse sufficienti per delimitare il perimetro su cui applicare poi una quantificazione concreta dei rischi legali. Le due banche hanno già accantonato 330 milioni, a cui si potrebbero aggiungere i 180 milioni (con un’adesione al 70%) su 600 stanziati che non verrebbero pagati ai soci, oltre al residuo dei 940 milioni stanziati da Atlante a gennaio. In più pare difficile, dopo uno sforzo di tre mesi, che le due banche si rimangino l’impegno al rimborso preso con i soci che hanno firmato. «Spero solo - dice per parte sua Mion -che si possa raggiungere una percentuale di adesioni che convinca le autorità di controllo».
Anche per passare alla partita successiva. Sul fronte dei piani industriali, con le lettere di venerdì, le due banche hanno fornito tutti i dati che rendono comparabile, in una sorta di prova del nove, la fusione con lo scenario delle banche separate. Dimostrando evidentemente che la banca fusa - prospettiva che viene confermata - guadagna abbastanza, e di più rispetto alle banche separate, per restituire i fondi statali.
Ora tocca alla Bce la prima mossa nel complesso meccanismo di valutazione messo in moto, che coinvolgerà anche l’antitrust Ue. Ovvero stabilire se ci sono le condizioni per la ricapitalizzazione con i fondi statali e indicare il fabbisogno di nuovo capitale, atteso intorno ai 4,7 miliardi, nella prospettiva di una fusione.
E Atlante? La partecipazione del fondo proprietario delle due ex popolari venete appare sempre più difficile. Ma dipenderà anche da come la trattativa con l’Ue valuterà il capitale residuo dopo l’abbattimento delle perdite di bilancio 2016, che potrebbe aggiungere fondi al miliardo che Atlante ha già iniettato a gennaio. Facendo intravvedere la possibilità di mantenere la maggioranza e pendere la bilancia per l’intervento. Ad insistere perché Atlante resti a fianco dello Stato, anche per riparare l’operazione da possibili sorprese nella trattativa con Bruxelles, è il segretario generale del sindacato Fabi, Lando Sileoni: «Se il governo si muove con determinazione, le grandi banche non potranno sottrarsi da un ulteriore contributo. Dalle crisi delle due venete hanno tratto vantaggi in termini di clientela e depositi e questo il governo glielo deve ricordare». E c’è poi l’altro elemento in ballo. Ovvero il timore che l’aumento dei guadagni per rendere sostenibile la fusione passi per un raddoppio degli esuberi di personale, da 1.500 a tremila. Con il ritorno dei licenziamenti. «Improponibile -replica Sileoni -. Risponderemo con lo sciopero immediato della categoria».