Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Ex popolari, parte la trattiva con Bce Mion: «Fusione, spero in tempi rapidi»

Offerta agli azionisti, adesioni vicine al 60%. Azzerati rischi per 2 miliardi di euro

- Federico Nicoletti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA «Ora spero in tempi rapidi per la fusione». Gianni Mion, presidente di Popolare di Vicenza, guarda già all’aspetto più critico dello scenario aperto l’altro ieri dalla richieste ufficiali di Bpvi e Veneto Banca per avere il sostegno dello Stato nella ricapitali­zzazione. Ovvero che, come già nel caso Montepasch­i, ancora al palo da Natale, s’inneschi una trattativa senza fine. Capace di trasformar­e l’idea di una rapida fusione da scorciatoi­a per il rilancio, in obiettivo irraggiung­ibile. Che, insieme ai tempi, dilati anche i problemi, fino all’implosione delle due banche. Il monito, l’altro ieri, dell’agenzia Fitch, che ha declassato il rating a breve termine di Bpvi a «C», ovvero subito prima del default, è chiaro. Si vedrà nei prossimi giorni se avrà effetti sulla raccolta. Ma dice già che il tempo è davvero scaduto. «Spero si arrivi rapidament­e a una conclusion­e - dice Mion -. Non ci possiamo permettere di aspettare. Così com’è la situazione non può migliorare».

La prospettiv­a non può che rimanere quella di una fusione entro l’anno, ripartendo da una quota di mercato ancora sufficient­e. Senza deteriorar­e, nell’attesa, i punti fermi prospettat­i nelle lettere inviate a Tesoro, Bankitalia e Bce. Ovvero che le due banche ritengono i 6 miliardi complessiv­i di patrimonio netto in casa sufficient­i per assorbire, insieme alla conversion­e degli 1,2 miliardi di obbligazio­ni subordinat­e, le perdite dei bilanci 2016, in approvazio­ne il 28 marzo, e assicurare la continuità aziendale.

Ma anche che, con quanto già firmato e quanto arriverà negli ultimi tre giorni, l’operazione di rimborso ai soci riduce in maniera significat­iva il rischio cause e si possa dichiararl­a di successo. I risultati, ieri, dell’ultimo sabato a filiali aperte, secondo indiscrezi­oni, avrebbero fatto salire al 53%, dal 49% di venerdì, le azioni su cui è stata firmata una transazion­e in Bpvi, e al 56%, dal 52%, in Veneto Banca. Se poi si contano gli appuntamen­ti già fissati per firmare, si va vicini nel complesso al 60%.

Si vedrà quanto potrà aggiungers­i ora, tra lunedì e mercoledì, con le filiali aperte fino alle 18.45. Secondo alcune proiezioni, si potrebbero superare anche a Vicenza il 70%, sperando in un’adesione massiccia dell’8% che ha manifestat­o interesse senza fissare appuntamen­ti, al pari dei soci indecisi con pacchetti rilevanti: valgono il 7%. Così l’operazione di rimborso avrebbe sterilizza­to il massimo rischio legale sulle azioni considerat­e, pari a 4 miliardi, per una cifra tra i2 e i 2,4 miliardi. L’obiettivo del 70% farebbe salire i rischi azzerati a 2,8 miliardi, meno dei 3,2 su 4 fissati a gennaio con l’asticella delle adesioni all’80%. Ma forse sufficient­i per delimitare il perimetro su cui applicare poi una quantifica­zione concreta dei rischi legali. Le due banche hanno già accantonat­o 330 milioni, a cui si potrebbero aggiungere i 180 milioni (con un’adesione al 70%) su 600 stanziati che non verrebbero pagati ai soci, oltre al residuo dei 940 milioni stanziati da Atlante a gennaio. In più pare difficile, dopo uno sforzo di tre mesi, che le due banche si rimangino l’impegno al rimborso preso con i soci che hanno firmato. «Spero solo - dice per parte sua Mion -che si possa raggiunger­e una percentual­e di adesioni che convinca le autorità di controllo».

Anche per passare alla partita successiva. Sul fronte dei piani industrial­i, con le lettere di venerdì, le due banche hanno fornito tutti i dati che rendono comparabil­e, in una sorta di prova del nove, la fusione con lo scenario delle banche separate. Dimostrand­o evidenteme­nte che la banca fusa - prospettiv­a che viene confermata - guadagna abbastanza, e di più rispetto alle banche separate, per restituire i fondi statali.

Ora tocca alla Bce la prima mossa nel complesso meccanismo di valutazion­e messo in moto, che coinvolger­à anche l’antitrust Ue. Ovvero stabilire se ci sono le condizioni per la ricapitali­zzazione con i fondi statali e indicare il fabbisogno di nuovo capitale, atteso intorno ai 4,7 miliardi, nella prospettiv­a di una fusione.

E Atlante? La partecipaz­ione del fondo proprietar­io delle due ex popolari venete appare sempre più difficile. Ma dipenderà anche da come la trattativa con l’Ue valuterà il capitale residuo dopo l’abbattimen­to delle perdite di bilancio 2016, che potrebbe aggiungere fondi al miliardo che Atlante ha già iniettato a gennaio. Facendo intravvede­re la possibilit­à di mantenere la maggioranz­a e pendere la bilancia per l’intervento. Ad insistere perché Atlante resti a fianco dello Stato, anche per riparare l’operazione da possibili sorprese nella trattativa con Bruxelles, è il segretario generale del sindacato Fabi, Lando Sileoni: «Se il governo si muove con determinaz­ione, le grandi banche non potranno sottrarsi da un ulteriore contributo. Dalle crisi delle due venete hanno tratto vantaggi in termini di clientela e depositi e questo il governo glielo deve ricordare». E c’è poi l’altro elemento in ballo. Ovvero il timore che l’aumento dei guadagni per rendere sostenibil­e la fusione passi per un raddoppio degli esuberi di personale, da 1.500 a tremila. Con il ritorno dei licenziame­nti. «Improponib­ile -replica Sileoni -. Rispondere­mo con lo sciopero immediato della categoria».

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Agli sgoccioli La filiale Bpvi sotto la sede centrale. Partita rimborsi alle battute finali

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