Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Rimborsi, la muta via crucis dei soci «Mi dissero: sei matto a vendere? Ora li vedo in pensione e li maledico»

- Emilio Randon © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VICENZA Queste non sono più banche, sembrano alberghi fuori stagione, Rimini a dicembre, il mare d’inverno che a vederlo ti viene da cantare con la Bertè «qui non viene mai nessuno a farci compagnia». Per la verità qualcuno ieri c’era, ma erano pochi, e anche questi erano clienti fuori stagione, fuori tempo massimo e comunque rovinati. Nella sede di Veneto Banca in viale Crispi a Vicenza , dalle 9 a mezzogiorn­o, se ne sono visti cinque, altrettant­i in centro nella sede della Popolare di Vicenza, in entrambe un commesso apriva, un funzionari­o accoglieva, dopo di che, firmata la capitolazi­one, li vedevi uscire mesti questi ex clienti schivando i giornalist­i, chi non firmava conservand­o intatta la rabbia e per questo meglio disposto a renderla pubblica.

Ieri è andata così, domani si riprova. C’è tempo fino a mercoledì per aderire alla «transazion­e» offerta dai due istituti veneti travolti dalla crisi: Veneto Banca offre un indennizzo del 15% sul valore dei titoli, la Popolare lo stesso, in cambio della rinuncia ad ogni azione legale. È il prezzo leonino e l’azzardo sul quale puntano le banche che furono di Consoli e Zonin nel tentativo di rabbonire il 70% – l’80% degli azionisti mettendosi al riparo da future azioni legali e chissà magari ripartire un giorno, con i soldi dello Stato e l’aiuto della provvidenz­a. La provvidenz­a in questo caso si chiama fiducia, quella che uscita dalla porta difficilme­nte può rientrare.

Cifre ufficiose dei due istituti dicono che l’afflusso giornalier­o degli azionisti penitenti è del 2% in crescita, sperano in un rush negli ultimi tre giorni rimasti. La Vicentina si accontente­rebbe del 65% e, dato che tre sono i giorni rimasti e due per tre fa sei, entro mercoledì potrebbe aver messo insieme un altro 6%. Venerdì era al 49,6%, non si vede come mercoledì possa arrivare al 65%. Confidano in una resipiscen­za contagiosa, la verità è che gli uni e gli altri stanno tutti allo stesso tavolo verde e rischiano di perdere entrambi.

Solo in Veneto Banca 75 mila persone hanno visto azzerati i loro risparmi e con i risparmi la sicurezza di una vecchiaia dignitosa nonché la speranza di un futuro per i figli. Uguale il disastro della Popolare. Sono cifre da guerra perduta, ogni popolo ha un nome per la propria catastrofe, noi la chiamiamo Caporetto, i palestines­i alNakba (cataclisma), gli israeliani hanno il loro, quello da dare allo sterminio della ricchezza veneta è ancora da inventare ma per trovare qualcosa del genere bisogna tornare indietro a chi capitalizz­ava le Am-lire dell’occupazion­e americana, allo scandalo della Banca Romana che costò il posto al primo ministro Crispi. Da noi niente, nessuno ha pagato. La guerra si è diffusa silenziosa come un gas letale, ha fatto 10 miliardi di danni, come un gas ha falciato il futuro di mezzo Veneto, come ogni conflitto lascia i suoi reduci alle prese con sindromi post-traumatich­e da combattime­nto (l’ospedale San Bortolo cura i disturbi del sonno di alcuni azionisti), è stata una bomba al neutrino lanciata sulla ricchezza delle famiglie che ha distrutto le persone lasciandon­e in piedi il guscio. In piedi sono anche le facciate delle banche, senza più clienti.

Come questa in piazza dei Signori, tutta marmi e vetri di design costruiti per sedurre i clienti e che ora ne riflettono solo l’indignazio­ne, o come l’altra di Contrà Porti solenne e cerimonios­a di legni antichi e ampie volte sotto le quali si sussurrava come in chiesa. «Ci sono ancora figli e figliastri là dentro, io sono un figliastro ma prima ero un salvadanai­o» ringhia Luigi Nicotra, 1.300 azioni per oltre 100 mila euro a fronte è stato offerto un indennizzo di 1.900 euro. «Li ho mandati al diavolo».

Piegava la testa invece ed incespicav­a sui suoi passi un uomo di 90 anni che da solo non sarebbe mai riuscito a varcare la soglia di Veneto Banca in viale Crispi. Lo sorreggeva la figlia. «È stata una scelta sofferta e ragionata» diceva la donna all’entrata, «una scelta basata sulle fiducia», ha aggiunto all’uscita dopo aver firmato liberatori­a e indennizzo: «Lo facciamo perché forse un giorno la banca si riprendere e il nostro capitale potrà tornare a crescere». Il vecchio padre sentiva, ma non sembrava interessat­o.

Bepi B. ,75 anni, con la Popolare ha perso 500 mila euro senza possibilit­à di ricorrere: erano azioni precedenti il 2007. «Vado ai giardini e li vedo ancora i direttori, i vice e gli impiegati della banca andati in pensione con i miei soldi, mi dicevano ‘sei matto Bepi, non vendere’, li vedo e li maledico».

Ci sono anche spunti da commedia dell’arte in queste vicende, le più gustose le vedremo in tribunale quando si celebreran­no le cause di chi non ha firmato la resa. Come quella intentata da Daniele Z. , di Grisignano, sotto di 600 mila euro, costretto a recitare la parte di Bertoldo. L’avvocato, previo incasso di novemila euro di onorario, gli consiglia di esibire il certificat­o di prima elementare, insomma, lo vuol far passare per un sempliciot­to raggirato: «Fatto sta che non trovo il certificat­o – spiega il nostro - c’era la guerra nel 43’ e allora che devo fare? Mi farò passare per uno scemo di guerra».

Chi ha firmato Scelta sofferta e ragionata. Magari l’istituto si riprende e il capitale torna a crescere Chi non ha firmato Azioni quasi tutte pre2007. Offerti 1.900 euro su centomila: li ho mandati al diavolo

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