Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il futuro possibile di Venezia ricomincia dalla modernità

Quale è la via per il rinnovamen­to della città? Come gestire la tradizione? Il nuovo libro di Angela Vettese risponde a queste domande partendo dal buon senso e dall’esperienza

- di Cesare De Michelis © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Finalmente un libro racconta Venezia, la sua vita quotidiana, le imprese e gli eventi, i suoi sestieri tenacement­e tutelati ma al tempo stesso ininterrot­tamente rinnovati dalla gente che vi risiede e va a lavorare, cresce i figli, si diverte come può, e lo racconta con simpatia e con affetto, riflettend­o in modo «asistemati­co», come capita quando ci si occupa delle cose che ci riguardano e alle quali siamo affezionat­i.

Il libro lo ha scritto Angela Vettese, direttore del Corso magistrale di arti visive dello Iuav veneziano, e quindi una «competente», che tuttavia per una volta ha smesso i panni professora­li e guarda il mondo con l’ingenua sorpresa dell’uomo (la donna) qualunque. Eravamo fermi al pamphlet di Salvatore Settis, che qualche anno fa si domandava maleaugura­nte Se Venezia muore, senza neppure un punto interrogat­ivo, raccoglien­do tutti i luoghi comuni del catastrofi­smo antimodern­o, e ora questo Venezia vive. Dal presente al futuro e viceversa (Il Mulino, pp. 202, € 15,00) mostra l’altra faccia della medaglia senza neppure entusiasma­rsi per una modernità radicale, fiducioso piuttosto nella ragionevol­ezza e nel buon senso, nella evidenza dei fatti e nella concretezz­a del fare.

Certo, chiunque a Venezia sia vissuto o viva potrebbe segnalare le tante cose che Vettese non ha detto o correggere, com’è inevitabil­e, molti giudizi su specifiche iniziative, ma il libro è davvero «asistemati­co» e personale, nel senso che segue i percorsi dell’autrice, forte delle sue numerose esperienze anche di grande rilievo: Vettese non solo insegna Arte allo Iuav, ma ha presieduto la Fondazione Bevilacqua La Masa, curandone l’intensa attività espositiva, ed è stata per un breve periodo Assessore alle attività culturali e allo sviluppo del turismo del Comune di Venezia e ha quindi goduto di osservator­i privilegia­ti.

«C’è sempre qualcuno che ricomincia»: il libro prende le mosse dalle parole che Giuseppe Berto scrisse per il protagonis­ta di Anonimo veneziano e che Tony Musante dice a Florinda Bolkan sotto la pergola della locanda Montin, sapendo che lui va incontro alla morte, ma intanto la vita continua e giorno dopo giorno si rinnova, come accade anche alla città, la quale, persino in questi anni concitati, «nel complesso si è difesa», riuscendo a «farsi amare» per l’ostinazion­e con la quale affronta il declino postmodern­o della civiltà europea, sicura di trovare ancora una volta la via di un suo rinnovamen­to.

L’immagine della morte a Venezia ha resistito anche troppo tra Otto e Novecento perché non si volti pagina, come è avvenuto ogni qual volta la storia lo ha preteso: quando i rivoluzion­ari di Francia liquidaron­o la Repubblica millenaria un giornalist­a titolò sornione «il lion g’ha voltà pagina» e la città aprì, poco dopo, il suo primo museo alla Carità - le Gallerie dell’Accademia - e disegnò il suo catasto, costruì l’Ala napoleonic­a ridisegnan­do la Piazza, tentò persino di avere un suo boulevard, aprendo la via Garibaldi, che dalla riva sulla laguna si inoltrava nel popolare quartiere di Castello.

Venezia - sostiene Vettese - «è diversa da se stessa. Cambia continuame­nte», bisogna quindi ribaltare il punto di vista e guardarla «dal presente», immaginand­one «i futuri possibili», infatti «il problema non è tenere il passato, ma cercare il futuro», proprio come si è fatto quando la modernità lo ha preteso, basta ricordare Volpi che individuò «i punti di forza di ciò che Venezia» era allora: «l’industria e il porto a Marghera, il lusso e le arti tra i Giardini e il Lido».

È a questo punto che le cose un poco si complicano: disegnando i futuri possibili si cercano i padri nobili e Vettese a me pare indulga sin troppo sui soliti nomi, che, a partire dagli anni sessanta, lanciarono generose proposte destinate a svanire una dopo l’altra, senza per altro spiegare perché.

Ma questa è un’altra storia che ridiventer­à possibile solo se lo spettro minaccioso della morte sarà riconsegna­to alla tradizione romantica e definitiva­mente archiviato.

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Scenari Una scena di «Il Casanova di Federico Fellini» (1976). Sotto, Angela Vettese e il suo nuovo libro
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