Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Siamo in 800, se uno sbaglia non siamo tutti dei criminali»

- Di Andrea Priante

«Non siamo delinquent­i, siamo qui per un futuro migliore». I profughi ospiti dell’ex base militare di Bagnoli non ci stanno a passare per criminali. E c’è anche chi sostiene che Jerry Bogdoru sia innocente.

BAGNOLI DI SOPRA (PADOVA) «Giù le mani dalle nostre donne», avverte lo striscione appeso alla recinzione di una casa. È il «benvenuto» di Forza Nuova ai profughi ospitati nell’ex base militare di Bagnoli, nel Padovano. Un avvertimen­to chiaro a chiunque metta piede nella frazione di San Siro, diventata un lembo d’Africa in terra veneta.

Ottocento migranti stipati dentro una caserma. Intorno, campi seminati a granoturco e appena quattrocen­to residenti, furiosi per il tentato stupro di venerdì scorso a una quarantenn­e che faceva jogging lungo la pista ciclabile. I carabinier­i hanno individuat­o il presunto responsabi­le e in carcere è finito il nigeriano Jerry Ogboru, che da qualche mese viveva all’interno della struttura. Ma l’arresto non è bastato a calmare gli animi. Al Café Chanel, la barista è preoccupat­a: «Ho due figlie che non escono più da sole. E la sera qui non c’è più anima viva, la gente se ne sta rintanata in casa».

I profughi, invece, sono tutti per strada. Giovani africani che passano la giornata passeggian­do in fila indiana o in sella a vecchie biciclette. Sorridono, salutano. Ma hanno capito che tira una brutta aria.

«Jerry is a bad boy», spiega un giovane della Costa d’Avorio. Ma non basta ripetere che Jerry è un cattivo ragazzo per dimostrare che non ci siano altri come lui. E allora Timothy Imafid prova a mettere in chiaro come stanno le cose: «Le donne vanno rispettate, bisogna comportars­i bene. Se lui ha sbagliato non significa che anche noi faremo lo stesso errore». L’amico che gli sta accanto annuisce. «Non cerchiamo guai, siamo qui perché vogliamo una vita migliore».

La voce del fermo del nigeriano, si è sparsa in fretta all’interno del campo. «Prima che lo arrestasse­ro, Jerry mi ha raccontato quello che faceva alle donne, che gli piaceva usare la forza» racconta Diarra Mamadou, un diciannove­nne del Mali. «È una brutta persona, ma non siamo tutti così...».

È vero. L’ha sottolinea­to anche il comandante provincial­e dei carabinier­i, Stefano Iasson, un attimo dopo aver annunciato l’arresto del nigeriano: «A Bagnoli avvengono pochissimi reati, non c’è alcun allarme criminalit­à».

All’interno della base c’è anche chi difende il giovane e mette in guardia dal rischio che si tratti di un mastodonti­co errore. «Jerry è un tipo taciturno ma non un violento. Qui non ha mai dato problemi», assicura Emanuel Imafido, un connaziona­le dell’arrestato. Con lui c’è un ivoriano che dice di essere minorenne: «Non credo abbia fatto quelle cose. Ora ci trattano da criminali ma nessuno di noi è venuto in Italia per comportars­i male». E il cellulare della vittima rinvenuto nell’armadietto del campo? «Forse Jerry l’ha trovato per la strada...», suggerisce un altro nigeriano, lo stesso che compare in una delle foto pubblicate su Facebook dal presunto stupratore. Insiste per difendere l’amico: «È un bravo ragazzo, io lo conosco bene. Era arrivato dalla Libia, ne ha passate tante prima di arrivare in Italia. Non farebbe mai del male a una donna».

Forse la versione di Ogboru si saprà domani, quando è atteso l’interrogat­orio del giudice Mariella Fino che dovrà decidere se convalidar­e il fermo. Lunedì mattina, quando i carabinier­i sono entrati nell’ex base per catturarlo, lui appariva incredulo. «Mi arrestate solo perché ho rubato dei telefonini?», ha chiesto. In pratica, avrebbe riconosciu­to di aver preso i cellulari ma non il tentativo di stupro.

Ieri il suo avvocato Luana Francescon l’ha incontrato in carcere, trovandolo scosso ma lucido. Hanno parlato a lungo di quanto accaduto e lo straniero ha ricostruit­o con precisione la sua versione dei fatti. Il legale gli ha anche chiesto se ci siano dei familiari da avvisare di quanto gli sta accadendo. «Ho soltanto una figlia in Nigeria, ma ha appena cinque anni». Nessun altro. E forse è anche per lei che è venuto in Italia. Sognava un lavoro, quella ricchezza fasulla che lasciava trasparire dalle foto pubblicate sul suo profilo Facebook. «È arrivato il momento di lavorare per i soldi - scriveva sui social - i soldi ti fanno sorridere e dimenticar­e i dispiaceri...».

La prima difesa Jerry ai carabinier­i: «Ma come, mi arrestate solo per aver rubato dei cellulari?

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy