Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il piano del ministro «Più soldi ai Comuni che accolgono e rimpatri forzati»
FACCIA A FACCIA A TREVISO CON I PRIMI CITTADINI
TREVISO Un piano in tre punti per riuscire certo non a «risolvere» l’emergenza migranti («Siamo di fronte ad un fenomeno epocale e globale, guardatevi da chi va suggerendo facili soluzioni») ma quanto meno a «gestirla», evitando che esploda il conflitto nella comunità chiamate ad ospitare le migliaia di persone che sono arrivate, arrivano e continueranno ad arrivare in Italia.
Lo ha illustrato ieri ai (pochi) sindaci arrivati per ascoltarlo all’auditorium Appiani di Treviso, il ministro per l’Interno Marco Minniti, dopo essere stato a Padova dove ha incontrato i primi cittadini del «distretto dei profughi». Va detto che il ministro ha evitato accuratamente di addentrarsi nelle specificità venete, nonostante fosse stato incalzato in modo puntuale dai sindaci protagonisti del confronto con lui sul palco (l’ospite Giovanni Manildo, la presidente di Anci Maria Rosa Pavanello, il vicentino Achille Variati e il bellunese Jacopo Massaro), preferendo ragionare ad ampio spettro su quanto fatto, «e non farà, al futuro», il governo sul tema immigrazione. A cominciare dal decreto approvato dal consiglio dei ministri il 10 febbraio insieme al decreto Sicurezza.
Dunque tre punti, con un preambolo: «I sindaci italiani sono i miei alleati più importanti». Primo punto: i flussi. «La stabilizzazione dell’Africa è la priorità, perché è lì, lontano dai nostri confini, il problema fondamentale - ha spiegato il ministro -. Di questo, però, non può occuparsi l’Italia soltanto, occorre l’intervento dell’Europa e in tal senso credo sia un grande risultato quello raggiunto ieri (lunedì, ndr), la creazione del gruppo permanente tra i Paesi europei e quelli del Nordafrica, i nostri primi interlocutori. Lavoriamo all’accordo con la Libia, in particolare, perché da lì parte il 90% di chi approda in Italia e tra loro non ci sono libici. Non è facile, però, perché la Libia è un Paese fortemente instabile: servono progetti di cooperazione e sviluppo».
Secondo punto: l’accoglienza (diffusa). «Abbiamo già stretto con Anci un patto, basato sul principio 3 migranti ogni 1000 abitanti - ha proseguito Minniti -. Siamo assolutamente contrari ai grandi centri, perché non favoriscono l’integrazione. E però che succede se solo un terzo dei Comuni accetta di ospitare la sua quota? Io sono grato a questa minoranza
Le altre misure Iter per il riconoscimento dello status di profugo in 6 mesi, lavori obbligatori per i migranti e appalti per segmento per le coop, con ispezioni dei prefetti
volenterosa ed è per questo che chiederò al governo di rafforzare ulteriormente l’incentivo economico già previsto dall’ultima legge di Stabilità». Altro fronte è quello delle tempistiche per la chiusura dell’iter di riconoscimento dello status di profugo: «Due anni dall’arrivo all’ultimo grado di giudizio sono un’enormità, è sbagliato per le comunità e per lo straniero. Il nostro obiettivo è arrivare a 6 mesi e anche per questo abbiamo eliminato un grado di giudizio». Poi ci sono le questioni dei lavori socialmente utili, «fondamentali perché liberano il migrante dal vuoto dell’attesa e aiutano a superare la diffidenza della comunità» e delle coop «per le quali d’intesa con l’Anac abbiamo introdotto appalti per segmento e non più onnicomprensivi, così da facilitare i poteri ispettivi delle prefetture».
Il terzo e ultimo punto: i rimpatri. Su questo Minniti si conferma l’uomo forte del governo Gentiloni: «Chi è regolare può restare ma chi non ha diritto a rimanere in Italia dev’essere respinto e se è già qui va rimpatriato subito, in modo forzato. Ci vuole severità per chi viola le regole e solo un Paese che applica in modo rigoroso i rimpatri forzati può sperare di ricorrere efficacemente a quelli volontari e assistiti, che pure sono una soluzione. È facile da intuire: chi prenderebbe in considerazione l’ipotesi di andarsene da solo, se non sapesse che altrimenti verrebbe mandato via comunque, a forza?». Parole, queste (e non soltanto queste, a dire il vero: i punti in comune sono parecchi) che suoneranno come musica alle orecchie dei leghisti, anche se Minniti precisa: «Sbaglia chi sostiene che c’è un legame tra immigrazione e terrorismo. Non è dimostrato in alcun modo. È provato, invece, il legame tra mancata integrazione e terrorismo». Anche per questo a febbraio il governo ha firmato il «Patto per l’Islam», che prevede luoghi di culto aperti al pubblico, imam riconosciuti e identificati, sermoni in italiano e finanziamenti, anche esteri, tracciabili».