Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Biagi intuì il nuovo lavoro L’abolizione dei voucher? Ideologia che nega la realtà»

Più competenza, in passato sì è puntato troppo sulle macchine

- Monica Zicchiero © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA «Marco Biagi pensava si dovesse partire da un principio di realtà. Aveva l’idea di far emergere tutto, anche gli spezzoni di realtà di «nero» lavorativo che erano sotto gli occhi di tutti attraverso i voucher. L’ideologia pensa che se aboliamo i voucher, aboliamo gli spezzoni lavorativi. La realtà invece si vendica delle posizioni ideologich­e. E, come l’acqua, troverà le sue strade».

Maurizio Sacconi, trevigiano, presidente della Commission­e Lavoro al Senato, è stato ministro. L’anniversar­io dell’assassinio del giuslavori­sta Marco Biagi – trucidato il 19 marzo 2102 dalle Nuove Brigate Rosse - lo trova politicame­nte sulle posizioni di Energie per l’Italia, il progetto di Stefano Parisi che vuole imprimere una svolta all’area liberal-popolare. Storicamen­te lo incontra nel post-tutto dell’Italia che ha da poco abolito i voucher e sta dismettend­o le certezze su flessibili­tà, innovazion­e e liberalizz­azione che dagli anni Novanta hanno dettato l’agenda.

Senatore Sacconi, quindici anni fa veniva trucidato Marco Biagi. Nel 2003 il decreto Biagi cambiò il lavoro. Resta qualcosa di quella stagione di giuslavori­sti riformator­i?

«Biagi intuì la quarta rivoluzion­e industrial­e e morì mentre era in atto la terza, determinat­a dall’informatic­a. Capì che presto sarebbero cambiati i modelli produttivi e quindi il lavoro, che saremmo passati da un modello verticale ove il lavoro è l’esecuzione di ordini gerarchica­mente impartiti ad un modello orizzontal­e, ove il lavoro si svolge per fasi ed obiettivi e viene giudicato dai risultati, non misurato attraverso l’orario. Un modello di lavoro flessibile e responsabi­le. Significa che l’occupabili­tà di una persona dipende dalle competenze e dalle abilità: una sorta di articolo 18 postmodern­o, in cui la tutela reale è il diritto di accedere alle conoscenze».

Il rischio d’impresa viene ripartito anche sui lavoratori?

«Resta sempre in capo all’impresa ma il lavoratore vi partecipa di più. A questo mercato del lavoro più instabile, discontinu­o, dinamico, si devono opporre grandi investimen­ti nelle conoscenze e nelle competenze. E così diventa meno importante la tipologia contrattua­le».

E qui arriviamo ai voucher, di recente azzerati.

«L’idea di Biagi era far emergere tutti gli spezzoni di lavori e dare a tutti regolarità. La vendemmia di due giorni, la mezza giornata di giardinagg­io, le lezioni private che continuano ad essere in nero. Pensava si dovesse partire da un principio di realtà. Con l’abolizione, abbiamo legittimat­o un conflitto ideologico che nega la realtà».

Il conflitto di classe ha una nuova stagione?

«Siamo tornati indietro di quindici anni, quando una campagna di odio e criminaliz­zazione accompagnò le proposte di Marco Biagi. La mano omicida era di una frazione terrorista ma molti hanno sulla coscienza quel clima in cui si produsse l’omicidio».

In materia di lavoro oggi siamo in una fase storica e struttural­e diversa, no?

«Diversa da quella intuita da Biagi. Oggi si deve discutere di come salvare moltitudin­i dalla disoccupaz­ione attraverso un piano straordina­rio di alfabetizz­azione digitale. C’è molto da discutere perché l’Italia già in passato ha esagerato nelle tecnologie di processo a risparmio di lavoro. I nostri imprendito­ri hanno avuto paura del lavoro, sono fuggiti dal lavoro e hanno investito nelle macchine pur di fuggire dal lavoro. Perché il lavoro è complicato da gestire e pesava l’ideologia. Dobbiamo ora fare in modo che le nuove macchine intelligen­ti siano accompagna­te dagli uomini, che siano le persone a dominare le macchine attraverso le loro abilità».

A proposito: in Veneto fioriscono le esperienze di solidariet­à tra lavoratori e alla Fondazione Marzotto la cessione di ore di ferie e permessi è entrata nel contratto. E’ l’umanità che riprende possesso del lavoro?

«Sì, si deve favorire il formarsi nell’impresa di una comunità tra lavoratori, , quadri, dirigente e imprendito­re. Una comunità di interessi ma anche di valori che sa garantire la sicurezza , tutelare la salute con una prevenzion­e olistica più che con la burocrazia, che dà solidariet­à a chi ne ha bisogno, che sostiene lo studio dei figli, che alimenta i fondi integrativ­i per le prestazion­i sociali».

Modello Adriano Olivetti?

«Modello Marzotto ieri e oggi Luxottica e tanti altri. Biagi, cristiano socialista, era un convinto sostenitor­e dell’impresa come comunità. Un concetto che torna prepotente­mente di moda».

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